di Elisa Brighenti
Ciò che suscita l’innamoramento è sempre uno stupore, una meraviglia, una compiacenza, basata su un insieme molto complesso di elementi, come la stima, l’attrazione fisica, il valore della persona amata, la gratitudine ecc… Quindi, ciò che fa scattare l’innamoramento è una compiacenza ( amor complacentiae) o / attrazione psico_fisica. Successivamente, scegliendo di continuare la relazione, di voler frequentare la persona amata, si accede agli altri piani semantici in cui il concetto di amore trova espressione: amor bene-volentiae e donum.
Il voler-bene indica il dispiegamento della volontà a considerare il bene per la persona amata. L’amante vuole il bene dell’amato. Mentre l’amor concupiscentiae si rivolge ad aspetti della persona amata destinati a tramontare ( come la bellezza ) e, in se stesso, è una autocelebrazione dell’amante ( io dico di amarti perché ne ho un vantaggio, resto fermo in superficie, attratto da caratteristiche psico fisiche o attitudinali dell’altro ), l’amor benevolentiae si concentra esclusivamente sul bene del e per l’amato.
La volontà di perseverare nella frequentazione dell’altro contribuisce all’insorgere progressivo del sentimento di benevolenza. Più frequento, più mi innnamoro, perché rinnovo lo stupore verso l’altro e più lo avverto, più lo voglio amare. Di questo tipo di amore fanno parte la capacità e la volontà di perdonare. Per esempio: una madre che ha un figlio omicida, pur provando repulsione per esso, e quindi nessun tipo di attrazione o emozione o sentimento positivi, può continuare a volere il suo bene, può decidere di farlo. Ma a monte c’è un sentire, un’attrazione irrazionale, una disposizione dell’anima, una compiacenza o benevolenza che non ha inizialmente bisogno di spiegazioni, che non risiede nello sforzo di accordare all’amato la nostra disponibilità a persistere nella ricerca e nella conferma del suo bene.
C‘è infine un gradino superiore, quello in cui amante e amato si con-fondono; dove si perde lo scarto tra ciò che viene donato e colui che dona, dove è l’amante stesso colui che si dona, mentre ciò che è donato è in secondo piano. Questo è un tipo di coinvolgimento affettivo perfetto e sublime, in cui l’amante considera l’amato come una sola cosa con se stesso.
Da ciò segue che chi si innamora non ha colpe. Ne ha invece chi dà spazio all’amor concupiscentiae , seguendo la logica dell’interesse personale, del distacco e della noncuranza verso il valore dell’altro. Chi lo strumentalizza. Anche il dato estetico, se considerato come mezzo di soddisfacimento emotivo dell’amante, scade in una forma di estetismo erotizzante, ma non fa dell’atto d’amore una modalità celebrativa e benevolente dell‘amato.
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