Poiché un piccolo ma significativo numero di cattolici rimane attratto dalla tesi che Benedetto XVI sia ancora il pontefice in carica, sembra opportuno richiamare l’attenzione sul fatto che le osservazioni di Benedetto fatte nel libro di Peter Seewald gettano ulteriore acqua fredda su di essa. L’articolo che vi propongo è stato scritto dal filosofo Edward Feser, pubblicato sul suo blog. Eccolo nella mia traduzione. 

 

Benedetto XVI visitato da Papa Francesco Concistoro Basilica di San Pietro 2018.06.28 CPF- Vatican Media
Benedetto XVI visitato da Papa Francesco Concistoro Basilica di San Pietro 2018.06.28 CPF- Vatican Media

 

Ho letto il secondo volume di Benedetto XVI di Peter Seewald: A Life di Peter Seewald. C’è molto di interessante, compresa una nuova intervista con Benedetto alla fine. Alcune delle sue parole sono rilevanti per la controversia sul Benevacantismo (chiamato anche “Beneplenismo” e la tesi “Benedetto è papa (BiP)”), che sostiene che Benedetto non si è mai dimesso validamente e che Francesco è un antipapa. Ho già affrontato questo argomento un paio di volte in passato e il dibattito è, a mio avviso, sostanzialmente esaurito. Ma poiché un piccolo ma significativo numero di cattolici rimane attratto da questa tesi insensata, mi sembra utile richiamare l’attenzione su come le osservazioni di Benedetto gettino ulteriore acqua fredda su di essa.

 

Chi è l’attuale Papa?

Seewald riferisce che in uno scambio del 2018, Benedetto si è rifiutato di rispondere ad alcune domande sulla situazione attuale della Chiesa, con la motivazione che ciò avrebbe “inevitabilmente interferito nel lavoro dell’attuale papa. Devo e voglio evitare qualsiasi cosa in questa direzione” (p. 533, corsivo dell’autore). Questa osservazione dimostra di per sé che Benedetto non si considera più papa. Infatti, se lo fosse, difficilmente potrebbe interferire con se stesso esprimendosi. Benedetto rifiuta anche esplicitamente “qualsiasi idea che ci siano due papi allo stesso tempo”, poiché “un vescovato può avere un solo titolare” (p. 537). Chi pensa che sia l’unico Papa attuale, allora? La risposta è evidente dal fatto che Benedetto si riferisce esplicitamente a Francesco come “Papa Francesco” per tre volte nell’intervista (alle pp. 537 e 539). Si riferisce anche a Francesco come “il mio successore” (p. 539) e parla del “nuovo Papa” (p. 520).

È chiaro, quindi, che Benedetto stesso pensa di non essere il Papa e che Francesco è il Papa. Ora, i Benevacantisti affermano di sottomettersi lealmente all’autorità del vero Papa, che, a loro dire, è ancora Benedetto. Pensano anche che il presunto status di antipapa di Francesco spieghi la sua predilezione per le dichiarazioni dottrinalmente problematiche. Ma allora, se i Benevacantisti si sottomettono all’autorità di Benedetto, non dovrebbero accettare il suo giudizio che Francesco è il Papa e lui no? Naturalmente, questa sarebbe una posizione incoerente. I benevacantisti devono, di conseguenza, giudicare che Benedetto è semplicemente in errore.

Ma questo li porta solo fuori da una posizione incoerente e dentro un’altra. Infatti, se la comprensione di Benedetto della natura dell’ufficio papale è così carente che egli non si rende nemmeno conto di essere lui stesso papa, e abbraccia invece un antipapa, come può essere più affidabile di Francesco come maestro di dottrina? Questo grave errore dottrinale non indicherebbe che è un antipapa? Il fatto che sia in comunione con un antipapa non implicherebbe che sia anche uno scismatico, e anzi che sia in scisma con se stesso? La sua incapacità di nominare validamente i cardinali per eleggere il suo successore (lasciando invece che sia il presunto antipapa Francesco a fare tali nomine in modo invalido) non comporterebbe che egli ha essenzialmente distrutto l’ufficio papale per sempre, rendendo impossibile un’elezione papale valida? Come possono, alla luce di tutto ciò, i benevacantisti continuare a considerare Benedetto come un eroe più di quanto non considerino Francesco come tale? Come possono evitare di diventare sedevacantisti a tutti gli effetti?

 

Emeritus schmeritus

I benevacantisti fanno molto scalpore per l’adozione del titolo di “Papa emerito” da parte di Benedetto, ritenendolo una prova della sua intenzione di mantenere qualche aspetto dell’ufficio papale. Ho spiegato altrove perché il titolo non indica nulla del genere, e le osservazioni di Benedetto nell’intervista lo confermano. Commentando l’uso di “emerito” per riferirsi a un vescovo in pensione, Benedetto dice che “la parola ‘emerito’ dice che egli ha totalmente rinunciato al suo ufficio”, e ha mantenuto solo un “legame spirituale con la sua ex diocesi” come “ex vescovo” (p. 536, corsivo aggiunto). Assumendo il titolo di “Papa emerito”, stava semplicemente estendendo questo uso preesistente al caso specifico del vescovo di Roma.

Ciò implica, però, che Benedetto intende se stesso come “totalmente rinunciatario” dell’ufficio papale e considera Roma come la sua “ex diocesi”. Ciò mina le affermazioni secondo cui le sue dimissioni sarebbero state invalide, in quanto egli avrebbe erroneamente supposto di poter rinunciare a un aspetto dell’ufficio (il “ministerium”) mantenendo un altro (il “munus”). Non era una sua supposizione – anche perché, se lo fosse stato, non avrebbe potuto pensare a Roma come alla sua ex diocesi, alla cui sede vescovile aveva totalmente rinunciato.

Parlando della delusione che le sue dimissioni hanno provocato, Benedetto afferma che, tuttavia, “avevo chiaro che dovevo farlo e che questo era il momento giusto. Altrimenti, avrei solo aspettato di morire per porre fine al mio papato” (p. 520). Si noti che egli ritiene che le sue dimissioni abbiano posto fine al suo pontificato in modo non meno decisivo di quanto lo avrebbe fatto la sua morte. Non c’è bisogno di dire che se fosse morto, non si sarebbe parlato del fatto che avrebbe mantenuto il “munus” rinunciando al “ministerium”. Ma se egli ritiene che le sue dimissioni abbiano posto fine al suo papato in modo altrettanto completo di quanto avrebbe fatto la sua morte, allora anche in questo caso non si può dire che egli abbia inteso mantenere l’uno e rinunciare solo all’altro.

I sostenitori della distinzione munus/ministerium affermano che Benedetto ha deposto solo le funzioni del papato, mantenendo il suo status ontologico, che secondo loro non può essere rinunciato. Ma nell’intervista con Seewald, Benedetto rifiuta esplicitamente l’idea stessa che queste possano essere separate. In risposta alla domanda se il venir meno delle capacità sia una buona ragione per dimettersi dal papato, Benedetto dice:

Certo, questo potrebbe causare un equivoco sulla funzione. La successione petrina non è solo legata a una funzione, ma riguarda anche l’essere. Quindi il funzionamento non è l’unico criterio. D’altra parte, un papa deve anche fare cose particolari… [Se non si è più in grado è consigliabile – almeno per me, altri possono vederla diversamente – lasciare la cattedra. (pp. 524-25)

Chiaramente, quindi, egli ritiene che l’essere e la funzione del papato vadano di pari passo, così che se uno rinuncia all’uno – “lascia la cattedra” – rinuncia anche all’altra.

A volte viene anche suggerito che le dimissioni di Benedetto siano state fatte sotto costrizione e quindi in modo non valido. A ciò egli risponde:

È ovvio che non ci si può sottomettere a tali richieste. Per questo nel mio discorso ho sottolineato che lo facevo liberamente. Non si può mai partire se significa scappare, non si può mai sottostare alle pressioni. Si può partire solo se nessuno lo richiede. E nessuno l’ha preteso nel mio tempo. Nessuno. È stata una sorpresa per tutti. (p. 506)

Non ci può essere alcun ragionevole dubbio, quindi, che le dimissioni di Benedetto soddisfino i criteri molto semplici stabiliti dal diritto canonico: “Se accade che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, per la validità si richiede che la rinuncia sia fatta liberamente e correttamente manifestata, ma non che sia accettata da qualcuno” (Can. 332 §2). Egli intendeva chiaramente rinunciare all’ufficio in toto, non solo in parte. E lo ha fatto liberamente. Fine della storia.

 

Preghiera e provvidenza

I Benevacantisti sono estremamente costernati per lo stato della Chiesa e del mondo, e a ragione, perché entrambi sono in condizioni orribili. È questo, a mio avviso, che contribuisce a spiegare il loro tenace attaccamento a una teoria che crolla rapidamente a un’attenta analisi. Il Benevacantismo sembra fornire una soluzione alle difficoltà poste dalle parole e dalle azioni problematiche di Francesco. In realtà, come ho mostrato in precedenti commenti su questo argomento, peggiora notevolmente le cose. Ma può essere emotivamente soddisfacente, perché permette di criticare Francesco in modo vituperato e irrispettoso che non sarebbe giustificabile se fosse davvero papa.

Vale la pena notare che anche Benedetto è chiaramente costernato per lo stato della Chiesa e del mondo, e per le stesse ragioni. Alla domanda sulla corruzione in Curia, sullo scandalo Vatileaks e simili, fa capire che i veri problemi sono molto più profondi di queste cose:

Tuttavia, la vera minaccia per la Chiesa, e quindi per il papato, non viene da queste cose, ma dalla dittatura globale delle ideologie apparentemente umaniste. Contraddirle significa essere esclusi dal consenso sociale di base. Cento anni fa chiunque avrebbe trovato assurdo parlare di matrimonio omosessuale. Oggi chi si oppone è socialmente scomunicato. Lo stesso vale per l’aborto e la creazione di esseri umani in laboratorio. La società moderna sta formulando un credo anticristiano e opporsi ad esso è punito con la scomunica sociale. È naturale temere questo potere spirituale dell’Anticristo e per resistergli occorre davvero l’aiuto delle preghiere di un’intera diocesi e della Chiesa mondiale. (pp. 534-35)

Chiaramente, Benedetto non è d’accordo con quei sostenitori di Papa Francesco che fingono che la preoccupazione per queste questioni non sia altro che un riflesso della politica di guerra culturale della destra americana. Al contrario, queste questioni riguardano la morale cristiana fondamentale e un’opposizione ad essa che deriva niente meno che dal “potere dell’Anticristo”.

Prendendo in prestito una metafora di Gregorio Magno, Benedetto parla della “piccola nave della Chiesa che si imbatte in forti tempeste” e la propone come “un’immagine della Chiesa di oggi, la cui verità di fondo non può essere contestata” (p. 537). Dice anche, in risposta a una domanda sulla condizione della Chiesa:

Sant’Agostino diceva delle parabole di Gesù sulla Chiesa che, da un lato, molte persone in essa sono solo apparentemente tali, ma in realtà sono contro la Chiesa… [Ci sono tempi nella storia in cui la vittoria di Dio sulle potenze del male è consolantemente visibile, e tempi in cui il potere del male oscura ogni cosa]. (p. 539)

Alla domanda se Papa Francesco avrebbe dovuto rispondere ai dubia presentati da quattro cardinali sulla scia di Amoris Laetitia, Benedetto rifiuta di rispondere sostenendo che la domanda “entra troppo nel dettaglio del governo della Chiesa”, ma dice anche:

Nella chiesa, tra tutti i problemi dell’umanità e il potere sconcertante dello spirito maligno, si può ancora riconoscere la dolce forza della bontà di Dio. Anche se l’oscurità delle epoche successive non lascerà mai semplicemente intatta la gioia di essere cristiani […] nella chiesa e nella vita dei singoli cristiani ci sono sempre momenti in cui siamo profondamente consapevoli che il Signore ci ama e che l’amore significa gioia, è “felicità”. (p. 538)

È difficile non vedere in questo un tentativo di offrire incoraggiamento a coloro che sono stati scoraggiati da Amoris e dalle sue conseguenze – e anche un’insinuazione che la confusione che la controversia ha causato nella Chiesa rifletta un attacco da parte del “potere sconcertante dello spirito maligno” e delle “tenebre” dell’epoca attuale.

Se, come sostengono i Benevacantisti, Benedetto pensasse davvero di essere ancora in possesso del munus del papato, è inconcepibile che non dica e non faccia più di quanto abbia fatto di fronte a quelle che lui stesso descrive come le “forti tempeste” che la Chiesa sta attualmente affrontando a causa del “potere sconcertante dello spirito maligno”, anzi del “potere spirituale dell’Anticristo” che oggi “oscura tutto”. L’unica spiegazione plausibile del perché non l’abbia fatto è che crede che Francesco e solo Francesco sia il Papa e che qualsiasi parola o azione più forte da parte sua minaccerebbe lo scisma. Ovviamente ritiene che per superare questa tempesta sia necessario pregare e confidare nella provvidenza divina, piuttosto che ricorrere a teorie strampalate. È ironico che molti Benevacantisti deridano i loro critici per aver assunto proprio questo atteggiamento che Benedetto stesso raccomanda.

 

Edward Feser è uno scrittore e filosofo che vive a Los Angeles. Insegna filosofia al Pasadena City College. I suoi principali interessi di ricerca accademica riguardano la filosofia della mente, la filosofia morale e politica e la filosofia della religione. Scrive anche di politica, da un punto di vista conservatore, e di religione, da una prospettiva cattolica tradizionale.

 


 

 

 

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