di Mattia Spanò
Cerco di evitare amicizie e alleanze che definirei prandiali: il conoscente che ti invita a pranzo (offre lui) e per due ore diventa una persona splendida.
Ti chiedi come hai potuto non accorgerti prima di che persona meravigliosa sia mentre divori compiaciuto un sontuoso risotto alla milanese, che di così cremosi senza pagare non ne hai mai mangiati. Prima che il gallo canti tre volte, non ricorderai nemmeno come si chiami l’anfitrione.
È arduo esprimere dissenso nei confronti di chi paga il conto – di solito l’ospite si sente in diritto di pontificare su tutto mentre tu annuisci – e per non vestire i panni di esseri spregevoli capaci di mordere la mano che li nutre, ti convinci che l’ospite sia un fine intellettuale e che se le cose andassero come dice lui, in che paradiso vivremmo signora mia.
Raccontava un amico presente agli eventi di una poderosa manifestazione antigovernativa in Indonesia: tre milioni di persone si erano messe a marciare in direzione di Giacarta determinate a rovesciare il presidente.
Il governo aveva risolto la cosa sbarrando la strada ai marciatori con lunghe file di camion carichi di arance. Man mano che arrivavano, ad ogni ribelle i soldati donavano un sacchetto di arance, che lui tutto contento prendeva insieme alla via di casa. Per rovesciare un governo, avrà pensato il rivoluzionario indonesiano, ho due ore di buco anche la mattina di sabato prossimo: intanto facciamoci una spremuta. Se siete a corto di arance e vi trovate in Indonesia, sapete cosa fare.
Mai sottovalutare la potenza del pasto gratis, e bene diceva Margareth Thatcher quando affermava che non esiste. Lo sapeva anche Maria Antonietta quando suggeriva di dare brioches al popolo privo del pane: frase per la quale viene bollata come una povera cretina, mentre in realtà è rivelatoria di un intelletto profondo e raffinato.
Esaù vendette la primogenitura per un piatto di lenticchie, a dimostrazione che l’uomo ha una percezione dei valori molto vicina al perimetro di una gabbia per cani. Tolstoj in Guerra e Pace annota che l’idea del nemico (Napoleone) sul suolo della Madre Russia non duole ai soldati quanto i piedi che marciano nel fango. Siamo così, aggiogati ad una pochezza disperante, al tempo stesso dediti a raccontarci una grandezza di spirito impossibile.
Questo lungo preambolo serve ad introdurre un’altra figura femminile, assurta agli orrori della cronaca di questi giorni: Laura Pausini.
La cantante – durante un rotocalco televisivo spagnolo, 20 Minutos – ha declinato l’invito a cantare Bella Ciao. Il che le ha attirato gli strali – molte le donne inviperite – di quelli che confondono la propria parte politica con la democrazia tout court, che si sono affrettati ad espellerla dal consesso democratico, privandola addirittura della dignità.
Accanto agli strali, la difesa dei colleghi: siamo musicisti, sono solo canzonette, io l’avrei cantata ma non esageriamo (Albano). Laura Pausini, cantante benestante che aborre il fascismo, ha diritto di cantare ciò che vuole. Un diritto nominale, sulla carta, una specie di panno cattura polvere, ma piuttosto che niente è meglio piuttosto, come dicono dalle sue parti.
Quando la Pausini lamentò i danni dei lockdown alla musica, qualcuno polemizzò o le diede semplicemente ascolto? Quando lei e Nek espressero disgusto per i fatti di Bibbiano, si diede risalto a quanto avevano da dire? Come no: per sbertucciarli e deriderli dando loro dei trogloditi disinformati che non leggono i giornali e non guardano la tv – dovere sommo dal quale dipendono i diritti ectoplasmici di cui godiamo: metti che al Tg1 delle 20.00 dicano che hai perso il diritto, anzi il privilegio all’acqua in casa, mica puoi lavarti i denti prima di andare a dormire.
Se la Pausini ha un difetto è quello di non essersi accorta che ci sono opinioni e opinioni, e che nel dubbio è meglio non averne.
Fa sorridere che una dichiarazione resa in Spagna abbia sollevato un polverone nella nostra orecchiuta e comaresca patria, ultimamente così dedita a liberare i propri figli dal peso delle idee personali. Pensare intossica il cervello, la libertà da difendere è quella di farsi la quinta dose dell’eucaristico preparato galenico.
Abbiamo imparato che i diritti sono subordinati a scelte come vaccinarsi, aborrire oltre al fascismo il contante – brivido, terrore, raccapriccio: pasticceri milanesi scoprono nuovi mostri, i no-pos – pagare le bollette senza fiatare, pubblicare nelle bacheche social adesioni a campagne contro il razzismo (ricordate gli atleti che non si inginocchiavano a Black Lives Matter?), l’omofobia, il femminicidio, il cambiamento climatico, il vicino di casa che non si lava i piedi e lascia le scarpe davanti alla porta, non pronunciare il nome di Mario Draghi invano, Slava Ukraini e via col vento.
Se non esprimi consenso o dissenso incondizionato (ma non sei tu a stabilire dove l’uno e l’altro siano collocati, e quale dei due convenga alla situazione), sei un lurido collaborazionista.
Quando l’ottima Laura ha usufruito del suo pasto gratis, per attirarsi tanta furia? Forse nel 2016, quando espresse sul palco dell’Ariston la sua vicinanza alla crociata omosessualista, e con lei la batteria di cantanti che si esibirono.
Laura Pausini ha tutto il diritto di non cantare Bella Ciao come ha tutto il diritto di sostenere la istanze omosessuali, anche a Sanremo.
Sono sicuro che lei, Eros Ramazzotti ed Enrico Ruggeri (per citare tre mostri sacri della canzone italiana, ma la lista è lunga) siano sinceri e in buonafede rispetto al tema, e con loro le varie Noemi, Amoroso, Marrone, Fedez, Elodie, Måneskin.
L’elemento cui non si dà peso è che non si tratta di istanze spontanee, ma sono istanze del potere. Sono proprietà intellettuale del potere.
Come con Facebook: la bacheca è gratis e la gestisci tu, ma ciò che posti appartiene a Zuckerberg. Facebook non censura: semplicemente, decide cosa mostrare o nascondere di ciò che gli appartiene. Non a caso Facebook, oggi Meta, non consente ad istituzioni pubbliche e governative di aprire profili ufficiali: almeno al momento, non potrebbe disporne con altrettanta sicumera.
Chi se ne frega se Laura Pausini non canta Bella Ciao. Non sei in Spagna, non stai guardando 20 Minutos, banalmente hai altro da fare: è una non informazione. Sono Facebook, Twitter e soci a rendere esorbitante non solo ciò che fai, ma anche ciò che non fai.
Quello che non pensi e non vuoi fare, che di per sé non sarebbe un contenuto, di colpo diventa un contenuto, ovvero qualcosa rispetto al quale schierarsi nell’illusione panottica di pensare con la propria testa.
Ecco il famoso pasto gratis: quando lo accetti, puoi anche dimenticare che faccia abbia il tuo generoso conoscente al quale, per dovere di ospitalità, hai espresso gratitudine e apprezzamento, ma lui non scorderà mai la tua. Verrà a bussare a denari, anche dopo molto tempo.
Tu pensi che la tua volontà a tratti possa coincidere con la volontà del potere – qualsiasi elettore crede di poterla persino determinare – e che questa corrispondenza sia del tutto naturale, al punto che valga la pena di tanto in tanto attovagliarsi insieme, ordinando uova al bacon vegano e prestando il tuo appoggio a certe “battaglie”.
Peccato che una volta accettato il patto, ci siano altre cosucce a pacchetto. Altri doveri, altre battaglie sulle quali magari nutri delle intollerabili riserve, che però sei costretto ad abbandonare abbracciando “la volontà del popolo” sancita dal sovrano come abbracceresti una vergine di ferro. Avete invocato lo Stato Etico, lo Stato manicheo, la purezza catara? È fatto così: un modello base senza optional, disponibile solo in color carta da zucchero.
Scriveva Cesare Pavese che da uno che non ha a cuore il tuo destino, non si dovrebbe accettare nemmeno una sigaretta. Il fatto che Pavese sia morto suicida ha molto a che fare con la penuria di sigarette: facilmente un uomo così integro si trova a mal partito in un mondo di fumatori accaniti, cui lo Stato consente le sigarette cascasse il mondo, mentre mette il nasone se acquisti prodotti non indispensabili secondo lui. E te la fa pagare, letteralmente.
L’errore di Laura Pausini e di quanti la difendono è questo: credere di poter mediare con il, o dissentire dal, galantuomo che ti invita a pranzo.
Cesare dopo l’opportuna strigliata riaccoglierà la figliuola prodiga, ma vedrete che sviste come quelle della Pausini piano piano si diraderanno come nebbia al sole. Difendere l’indifendibile è uno sforzo improbo per chiunque.
Cesare ti può dare un sacchetto d’arance, perché Cesare è buono, ma è pacifico che prese le arance torni a casa, senza nemmeno che lui te lo dica. È un contratto implicito. L’alternativa sono quasi sempre le pallottole. O privazioni inimmaginabili che di colpo diventano quotidianità banale.
La questione non è se Bella Ciao sia una bella o brutta canzone (a me è sempre piaciuta) né cosa rappresenti, né se la Pausini abbia il diritto di non cantarla o il dovere di farlo, cose delle quali a Cesare frega men che zero: oltre che buono, non è stupido. La questione è essere ligi al potere di turno.
Una ragione urgente e necessaria ex-post si trova sempre, ma nessuno deve discutere le premesse: nessuno scollamento di bilancio a favore di famiglie e imprese, altrimenti i conti pubblici chi li sente, tranne per l’acquisto di vaccini testati su otto roditori (gli animalisti tacciono? Nel 2022 esistono ancora topi privi di diritti umani?) e l’invio di armi ai fratelli ucraini che si battono per la nostra libertà. Che è fatta di questo: assentire, aderire, esprimere plauso come in certe parate in Corea settentrionale.
La cultura del bonus – monopattino, spesa, reddito di cittadinanza, psicologo, i ristori, la facciata di casa – come l’adesione a questo o quel diktat (i no-vax sono criminali da mandare a svernare nei campi di concentramento) non è bonomia neutrale. Sono pasti gratis, atti liberali che non finiremo mai di ripagare con pecorile senso del dovere.
Purtroppo nemmeno il dialogo puzzolente di papa Francesco per amore della pace con persone inique come Putin – bisogna che il presidente russo sappia cosa pensa il pontefice di lui: facilita lo scambio di chiacchiere in vista del nobile scopo – ci salverà da questo scempio.
Anche perché a conti fatti con chi puzza, lo sa benissimo anche il papa, non si dialoga mai sinceramente: non lo si è fatto con chi non compie atti d’amore per salvarci insieme, perché farlo con Putin? Perché ha qualche migliaio di bombe atomiche?
Non fosse chiaro, dopo aver tuonato infinite volte contro le armi, lo stesso papa Francesco ha benedetto l’invio delle armi in Ucraina: anche difendersi è un atto d’amore. Non si può fare a meno di notare che una correlazione esiste: tanto i vaccini quanto le armi qualcuno al Creatore lo mandano.
I pasti gratis sono stati serviti da tempo, le sentenze sono già scritte altrove. Si tratta di farle rispettare.
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Non fosse chiaro, dopo aver tuonato infinite volte contro le armi, lo stesso papa Francesco ha benedetto l’invio delle armi in Ucraina: anche difendersi è un atto d’amore.
i papi e la chiesa cambiano opinione, soprautto se hanno a che fare con gente agguerrita: sparare ai comunisti in Spagna nel ’39 è okay
nel 1950 non più; e il papa è il medesimo ma Stalin adesso ha la bomba
1) https://www.vatican.va/content/pius-xii/it/speeches/1939/documents/hf_p-xii_spe_19390416_inmenso-gozo.html
2) https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2017/07/24/news/la-guerra-che-dio-vuole-quando-pio-xii-si-smarco-dagli-usa-1.34456920