Rilancio un interessante saggio di Marco Begato sulla svolta antropologica nella teologia della Chiesa che, a parere dell’autore, ha portato alla scelta di rinunciare alle Messe prediligendo la salute fisica. Il saggio è stato pubblicato sull’Osservatorio Internazionale Van Thuan di Trieste. 

 

 

Nel suo intervento Coronavirus. L’oggi e il domani S. E. mons. Gianpaolo Crepaldi ha indicato un oggetto di riflessione nei “due significati del termine Salus”. Questo il paragrafo dedicato all’argomento:

Il termine “Salus” significa salute, nel senso sanitario del termine, e significa anche salvezza, nel senso etico-spirituale e soprattutto religioso. L’attuale esperienza del coronavirus testimonia ancora una volta che i due significati sono interconnessi. Le minacce alla salute del corpo inducono cambiamenti negli atteggiamenti, nel modo di pensare, nei valori da perseguire… Non è ancora definitivamente chiarita l’origine del “COVID-19” e anche esso potrebbe dimostrarsi non di origine naturale. Ma anche ammessa la sua origine puramente naturale, il suo impatto sociale chiama in causa l’etica comunitaria. La risposta non è e non sarà solo scientifico-tecnica, ma dovrà essere anche morale. Dopo la tecnica, la grave contingenza del coronavirus dovrebbe far rivivere su nuove solide basi la morale pubblica. LEGGI QUI

Vorrei riflettere su tale paragrafo. Per fare ciò è conveniente prima provare a fornire un’analisi del movimento culturale cattolico dell’ultimo settennio. La mia ipotesi è che negli ultimi anni abbiamo assistito a uno sbilanciamento sempre maggiore da una visione teocentrica a una visione antropocentrica, da un concetto di salus etico-spirituale a un concetto di salus sanitario. Ritengo inoltre che tale transizione non sia stata accompagnata da un ragionamento solido, condiviso e condivisibile. Queste premesse spiegherebbero la crisi attuale, l’incapacità di difendere il concetto di salus etico-spirituale nel prevalere egemonico di una preoccupazione per la salus sanitaria. Se ho qualche ragione, bisognerà concludere che la giusta calibrazione tra salus e Salus dipenderà anche da una coraggiosa revisione di modelli culturali degenerati.

L’affermazione di una svolta antropocentrica nella Chiesa contemporanea non è teoria ascrivibile al sottoscritto, ma è ideale dichiarato da alcuni dei più grandi teologi della modernità e assunta nel dettato dell’ultimo Concilio Ecumenico, il Vaticano II, e nei documenti successivi a quello.

Il teologo probabilmente più significativo di questa corrente è il celebre Karl Rahner, cui anche il direttore dell’Osservatorio ha dedicato uno studio. (S. Fontana “La nuova Chiesa di Karl Rahner” Fede & Cultura, Verona 2017)

Un intellettuale di grande calibro, ingiustamente censurato dalla cultura contemporanea, ha prodotto ampi scritti e analisi a tale questione. Basti una citazione:

Le varie deviazioni della morale rispondono tutte all’esigenza antropocentrica del mondo moderno che sostituisce all’idea divina regolatrice del mondo l’idea dell’uomo autoregolatore. La spinta antropocentrica genera la tecnica, onde si crede che l’uomo sia il fine del mondo e che il dominio della realtà mondana sia il compito del genere umano. Questa teologia trova rispondenza in alcuni passi del Vaticano II (R. Amerio, Iota Unum, Lindau, Torino 2009, p.427).

Se poi vogliamo considerare Amerio un intellettuale troppo critico e anti-conciliare e per questo inaffidabile, si potrebbe comunque far man bassa di teologi moderni e contemporanei che hanno confessato la teleologia su indicata e la rilanciano fino ad oggi. Per rimanere nei paraggi, basti ricordare di poche settimane or sono l’appello del prof. Andrea Grillo, che invocava una “seconda svolta antropologica”, rinvenendo nella crisi del Covid-19 l’occasione propizia per attuarla, essendo finalmente allentato il controllo del clero sui fedeli. LEGGI QUI

Le brevi citazioni evocate confermano l’orientamento antropocentrico insinuatosi nel pensiero ecclesiale degli ultimi decenni. A ciò aggiungiamo almeno tre posizioni fatte proprie dal Magistero che suggeriscono un incremento del moto antropocentrico concentrato negli ultimi anni.

Amoris Laetitia

L’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia, spingendo la possibilità di comunicare gli adulteri, inevitabilmente mette in secondo piano i diritti divini e il valore oggettivo del sacramento, portando il peso della questione sullo stato di coscienza degli amanti nonché sull’ingiustizia (presunta tale) e sulla insostenibilità psico-sociale (non spirituale) della loro situazione. Si tratta la materia sacramentale accentuando il diritto dell’uomo rispetto alla legge di Dio.

Laudato si’ e Sinodo per l’Amazzonia

La Lettera enciclica Laudato si’ e il Sinodo per l’Amazzonia colorano di verde la teologia e il Magistero recenti e muovono il fuoco dell’attualizzazione evangelica decisamente verso un piano vieppiù di immanenza (non dico ancora immanentismo) più che di trascendenza. Nello specifico della nostra indagine, a interessarci è la scelta quantomeno curiosa di usare le pagine dell’enciclica verde per spingersi ad avallare le teorie di allarmismo global warming, il cui oggetto scientifico sfugge alle competenze del Magistero, e l’esposizione attorno al quale rischia di siglare un nuovo Caso Galileo con prelati e pastori tutti presi a pontificare su una materia che, in quanto tali, non possiedono. Anche questo conferma un forte interesse per  argomenti poco spirituali e molto umani.

In modo simile giudico fatti eclatanti, occorsi durante il Sinodo per l’Amazzonia, quali l’introduzione di simulacri indigeni nella liturgia cattolica: bollati come idolatrici dai loro detrattori, questi eventi sono stati giustificati nell’ottica di un dialogo tra culture. Nuovamente l’interlocuzione orizzontale ha questionato quella verticale.

Pena di morte

Il terzo e ultimo esempio che porto a indicare il forte trapasso verso un antropocentrismo sempre più marcato è la svolta avvenuta circa la dottrina sulla pena di morte. Essa è stata legittimata e assunta in linea di principio e di fatto dalla Chiesa alto-medievale fino al XVIII secolo; legittimata in linea di principio ma non più attuata dal XVIII secolo a noi; delegittimata senza eccezioni dalla Congregazione per la Dottrina della Fede durante il pontificato di Francesco, con riscrittura dei numeri del Catechismo dedicati alla tematica. La ragione portata, “dignità della vita umana”, basta da sé soltanto a confermare la consacrazione di un paradigma ontologico che inclina ad assolutizzare l’essere umano. Inevitabilmente e secondo logica, rimangono marginalizzati in qualche modo tutti gli altri esseri superiori e inferiori ad esso.

In sintesi, alla luce degli esempi riportati (ce ne sono altri che omettiamo per brevità) lo slittamento antropocentrico si impone in tutti gli ambiti: teologico e filosofico; teorico e pratico; individuale e sociale; ideale e materiale.

Ripeto: è un bene o un male? Non sta a me dirlo, non è mio obiettivo nella presente sede. Io ne do riscontro. Due commenti però si impongono, il secondo dei quali vorrebbe rispondere all’appello di mons. Crepaldi.

Il primo commento consiste nel rilevare che tutte e tre queste situazioni sono accomunate da una fragilità argomentativa. Tutte e tre abbisognano ancora di una maggior chiarificazione razionale, l’assenza della quale comporta esiti perniciosi.

Nel primo caso – Amoris Laetitia – la confusione ermeneutica e fondativa è tenuta in auge dai cinque celeberrimi dubia cui nessuno fino ad oggi ha saputo rispondere. Trattandosi, come sostenevo, di una variazione teologica di tutto spessore, chiarirsi era cosa dovuta. Pena – duole dirlo, ma l’umano consorzio vive di tali dinamiche – confusione intellettuale e odor d’autoritarismo.

Nel secondo caso, come accennavo, è epistemologicamente poco difendibile l’impegno di una parola magisteriale attorno a un oggetto che non pertiene né a fede né a costumi, ma che è del tutto consegnato allo studio specifico delle scienze matematico-naturali.

Non commento qui il fatto dei simulacri, rimandando al paragrafo conclusivo dell’articolo.

Nel terzo caso, succintamente mi limito a notare che un tema tanto delicato, che attraversa nodi fondamentali del concetto di legge morale naturale, non può essere risolto da una dichiarazione d’imperio di un qualsivoglia Prefetto o dalla riformulazione di un paragrafo del Catechismo, in assenza di argomentazioni condivise. A fronte di ciò, la dichiarazione mal si compone con altre istanze della teologia contemporanea nient’affatto rispettose dell’inviolabilità della vita umana (la relativa apertura all’aborto contestata ai nuovi teologi dell’Istituto Giovanni Paolo II e ai loro sostenitori mediatici), oltreché con le aperture diplomatiche a regimi omicidi come il cinese. Nuovamente attorno a una innovazione di gran peso troviamo un proliferare di elementi poco coerente e poco controllabile, i cui sviluppi lasciano timorosi, i cui presupposti né convincono né persuadono.

Ribadisco tutto il mio ossequio al Magistero, ma l’ambiguità e la fragilità di fondamenti ad un’analisi razionale si impone. Tacerla, sia pure per paura o per servilismo, sarebbe sconveniente per chi se ne fosse avveduto. Aggiungo: proprio a maggior beneficio delle sane istanze magisteriali è nostro dovere contribuire con indicazioni critiche che scongiurino derive irrazionali e quindi nocive per la fede e favoriscano il miglior adempimento delle idealità teologiche. E appunto in ciò non credo di aggredire il Magistero, bensì di servirlo autenticamente. Chi di dovere potrà far tesoro di simili avvisi (se utili) e venire a rinforzare, alla luce di questi, le suddette teorie teologiche, in quanto veramente esprimano la verità cattolica e la visione storico-teologica del nostro Creatore e Redentore.

Ora, a tal riguardo si noti il paradosso e la strozzatura verso cui rischiamo di scivolare. Da un lato si vuole insegnare un maggiorato valore dell’umano, luogo di piena e prima rivelazione del divino. Dall’altro, affermando tale primato per il tramite di dottrine fragili da un punto di vista razionale, si va a offendere e debilitare il valore della ragione umana. Se non ho fallato fin qui l’analisi, l’esito è che, mentre si voleva nobilitare l’uomo, lo si è svilito. A che pro eleggere l’umano, dopo averlo ferito nella sua razionalità?

Veniamo ora all’auspicio di monsignor Crepaldi (nello specifico del quale in realtà non mi addentro, e la ragione sarà presto evidente a tutti). Con le premesse poste fin qui, è facile intuire la conclusione cui giungeremo. L’armonizzazione dei due significati di salus è importante ed esprime in specie un antico e generale sapere della Chiesa, che Vittorio Messori sintetizzava nella teoria dell’et-et. Secondo il principe dell’apologetica italiana, la differenza tra una visione, diciamo, luterana e una visione cattolica sta nel fatto che la prima pone alternative radicali tra le dimensioni dell’esistenza (nella forma di aut-aut), la seconda invece tende ad armonizzare tali dimensioni tra loro. Nel nostro caso, è una bella espressione del cattolicesimo impegnarsi a tutela et della salute fisica et di quella spirituale. Tra i testi magisteriali recenti più importanti ed emblematici a fondamento di tale prospettiva ricordiamo Fides et Ratio.

Attestato però lo sbilanciamento deciso nei toni, fragile nella fondazione, verso una esaltazione dell’antropologico a danno del teologico – questa la mia teoria finora espressa, affondata la quale cadrebbe anche quanto segue – dovremmo onestamente confessare e riconoscere di essere una generazione poco preparata ad affrontare questa sfida specifica. Se stiamo attraversando una grave crisi circa l’effettivo equilibrio tra teologico e antropologico; se il dazio che stiamo pagando è quello di accettare piuttosto l’affermazione autoritaria del nuovo cursus teologico, a prezzo di una frustrazione della ragione filosofica; in che modo e su che basi potremo dirimere convenientemente la tensione salus-Salus?

Ammetto che potremmo appellarci al dono dello Spirito Santo, grande risolutore di ogni questione. Né mi stupirebbe – nella logica dell’aut-aut – che i sostenitori di un antropocentrismo su basi razionali fragili invochino ex abrupto l’intervento divino spirituale: lo spiritualismo è parte della visione antropocentrista. Reputo però più consentaneo alla nostra Tradizione culturale e spirituale far leva in tal sede sulla virtù etica di prudenza e su quella teoretica di consiglio. Esse potrebbero guidarci nell’affrontare la sfida in corso. D’altro canto queste e le altre virtù non trascurano, bensì invocano il sostegno di una ragione umile e robusta.

Che dire? Non credo negli slogan. Non seguo lo spiritualismo. Posso sottopormi all’autoritarismo, ritenendolo santificante, ma al contempo lo giudicherei umiliante per le autorità cattoliche. L’unica soluzione plausibile e rispettosa che mi riesce di intravedere è invocare una riabilitazione della retta ragione dentro e fuori del dibattito teologico e magisteriale. Primo passo in tale prospettiva dovrebbe essere riconoscere lo stato deficitario in cui alligna il discorso religioso: che è quanto ho cercato di accennare in questo articolo. Da qui certamente potrebbero nascere nuove proposte. Non escluderei a priori che le nuove proposte possano confermare le direzioni intraprese nell’ultimo settennio, dovrebbero farlo però guidandoci tutti a una razionalità superiore e non imponendoci una diminuzione della medesima!

Questa riforma di paradigma porrebbe i giusti presupposti per affrontare, tra i tanti, anche il problema specifico dell’articolazione salus-Salus. Per ora è evidente che la strada sia preclusa e che il valore della Salus sia annientato dall’iper-esposizione della salute fisica e immanente.

Lo si vede nell’interdizione senza riserve della S. Messa e nell’estinzione dei riti pasquali, cominciando dal sacro fuoco della Veglia pasquale che in quest’anno non è stato acceso. Con ciò aggiungo una postilla e volgo a chiudere la riflessione. La scelta di consegnare le armi e rinunciare alle Messe col popolo conferma ulteriormente la nostra impreparazione a trattare il rapporto tra salute corporea e salvezza spirituale. Nella contesa tra dimensione economica e dimensione sanitaria gli esercizi commerciali hanno fatto valere i propri diritti fino all’estremo, mostrando l’effettiva portata degli interessi implicati. Nel nostro caso abbiamo invece attestato, volenti o nolenti, la supremazia dell’ideale salutista su quello salvifico.

D’altro lato reputo che proprio la Liturgia, luogo in cui abbiamo attualmente registrato una sconfitta, possa essere anche un nido da cui rinascere. Accanto a un rilancio della ragione, e anzi al fine di favorire la conversione utile alla cura di un tale rilancio, ritengo che sarà assolutamente prezioso ritrovare una pratica liturgica accorta e ciò perché la liturgia per definizione è luogo sintetico e armonico dei valori materiali e spirituali. Ecco il motivo per cui la proibizione delle cerimonie religiose si pone come ennesima aggravante nello sforzo di comporre le visioni sulla salus; la loro ripresa, se accompagnata da riflessioni e ripensamenti congrui e auto-critici, potrà giovare al contrario a questo e a simili problemi. Ma, vista la natura del presente sito, non mi dilungherò in questa sede nell’ulteriore elogio delle virtù di liturgia. Basti averne affermato la convenienza anche a fini della restaurazione di un retto ragionare.

In sintesi, se vogliamo monitorare il giusto rapporto tra salus etico-spirituale e salus sanitaria reputo opportuno: ripensare l’equilibrio tra umano e divino, restituendo al secondo termine un più degno grado di attenzione e ruolo; lavorare per un rafforzamento della ragione, il che può avviarsi anche solo da una chiara denuncia dei suoi usi distorti più recenti, anzitutto a livello ecclesiale; valorizzare esperienze esistenziali sintetiche, che ci inducano a maturare nel debito equilibrio tra dimensioni tecnico-corporee e moral-religiose. Una di queste esperienze citate è la liturgia. Una seconda è l’ideale di martirio, cui vorrei dedicarmi prossimamente.

 

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