Parlamento, palazzo Montecitorio

 

 

di Mattia Spanò

 

I partiti di sistema, ovvero quelli che hanno rappresentanti in parlamento, ignorano completamente le forze extraparlamentari in fase di organizzazione.

Un po’ come tacciono sui punti cardine del recente passato politico: il disastro economico causato dai lockdown, il tragico fallimento della campagna vaccinale dal punto di vista degli effetti sulla salute pubblica e quelli avversi, le misure segregazioniste come il green pass, le mostruose violazioni della Costituzione culminate con l’invio ripetuto di armi in Ucraina.

Cominceranno a parlarne (male) forse dopo il 20 d’agosto, quando sapremo quali e quante delle nuove formazioni avranno superato lo scoglio della raccolta firme.

All’associazione Luca Coscioni è stato consentito di raccogliere le firme digitali, tramite Spid, per promuovere il referendum sull’eutanasia. Per la raccolta firme delle varie liste anti-sistema, a parte il periodo agostano sfavorevole, si è invece pretesa la raccolta fisica, col cotè di notai, ispettori politici, banchetti e gazebo.

Se si cerca un esempio di lercia malafede e disprezzo della democrazia, oltre ad indire delle fantascientifiche elezioni settembrine, eccolo qua: a quelli si consente il digitale, questi si condannano all’analogico e alle sue innumerevoli tagliole e vizi di forma.

Il campo extraparlamentare è dilaniato fra tante anime e ancora più leader, e da una polemica accesa fra ‘votisti’ e astensionisti.

Le divisioni si ricomporranno quando sapremo quante e quali liste avranno passato il Rubicone della raccolta firme (aspettiamoci molte estromissioni di cittadini che avranno firmato per più liste, annullando la validità della firma per tutte quelle interessate: dovranno raccoglierne ben più delle 70.000 valide previste dalla legge per garantirsi l’agibilità elettorale).

A quel punto, potrebbero formarsi coalizioni di programma. La scoglio rimane il superamento dello sbarramento. Se invece si dovesse procedere sulla via maestra del personalismo, allora vorrebbe dire che poco si è compreso anche in quel campo della gravità del momento, ostinandosi a mettere la vecchia pezza sul vestito nuovo.

La vera frattura profonda è quella fra ‘votisti’ e astensionisti, che in parte riflette lo stato drammatico e la malattia mortale della democrazia italiana, vale a dire la protratta mancanza di rappresentanza politica, moltiplicata nei suoi esiti nefasti dal famigerato Porcellum.

Da troppo tempo gli italiani votano programmi massimalisti – puntualmente disattesi – e non persone. Quelle, selezionate con acribia fra gli utili idioti del sistema, sono scelte dalle segreterie di partito.

Per decenni i giornali e le televisioni hanno lamentato le Carfagne, le Minetti, i Razzi e Scilipoti, senza mai osare toccare il Porcellum-Mattarellum – sì: l’evoluzione della legge Calderoli porta il nome dell’attuale presidente della Repubblica, ed ha permesso che candidati poco performanti fossero comunque eletti in seggi dove non li conosceva nessuno, o storicamente viziati da infiltrazioni mafiose, come nel caso di Rosi Bindi in Calabria.

La posta non è ‘andate a votare per esercitare un diritto-dovere’, cioè votate purchessia, il voto utile, turatevi il naso, il male minore, il meno peggio e trappole simili. La questione è votare chiunque dia un minimo di garanzie di rappresentarci contro partiti che hanno violato i patti elettorali in modo così clamoroso e tradito i principi base del nostro ordinamento.

Gli astensionisti hanno d’altra parte delle solide ragioni. In sintesi, predicano una ribellione silenziosa contro un sistema i cui ingranaggi e le cui seduzioni impediscono a certe posizioni di concretizzarsi, favoriscono la corruzione dei rappresentanti politici, blindano lo status quo. Un parlamento eletto con il 30% degli aventi diritto sarebbe delegittimato.

Questa tesi ha due difetti. Il primo, che votino in 30, 30.000 o 30 milioni ad ottobre ci saranno comunque un governo e un parlamento. Politici che non si sono fatti scrupoli a violare promesse elettorali e ordinamento repubblicano, non se ne faranno nemmeno a rappresentare dieci persone su sessanta milioni.

Il secondo, diretta emanazione del primo, è che un parlamento formato da pupazzi per giunta delegittimati,  quindi estremamente debole, può arroccarsi e fare disastri perfino peggiori di quelli recenti: se alla debolezza ideale e morale si aggiunge la delegittimazione, si crea involontariamente la tempesta perfetta.

Il punto è andare a votare le forze nuove, consapevoli che errori e scivoloni sono da mettere in conto.

Nel campo del sistema, si assiste a spettacolini indegni che riflettono una divisione uguale e contraria, ancora più grave alla luce della disponibilità di mezzi. Proviamo a guardare oltre la cortina fumogena delle polemiche da pollaio.

Sotto il profilo schiettamente pratico, il tema mi sembra il seguente: chi rischia di vincere è la leader dell’unico partito finora all’opposizione. In nessun caso Giorgia Meloni potrebbe governare da sola, ma sarebbe costretta ad allearsi con partiti che fino a ieri sostenevano i governi Conte bis e soprattutto Draghi.

Il motivo per cui Meloni non contraddice se stessa – non poche sono state le posizioni ambigue e i silenzi sulla campagna vaccino-segregazionista – e in generale tutti i leader tacciono sulle porcate fatte, è che un domani non lontano dovranno scendere a compromessi l’una con gli altri.

Non solo: alla mala parata, i lockdown, i green pass e l’IDpay – irreversibile, secondo il ministro Colao – serviranno come strumento di deterrenza e repressione del dissenso, in un quadro economico che si annuncia disastroso.

Questo rebus non sarà sciolto: l’unico obiettivo delle starnazzanti forze antifasciste (mai patente simile fu più ridicola), e forse di quella parte di destra che fa capo a Salvini e Berlusconi, è limitare la vittoria di FdI  garantendosi così la persistenza di un’ampia zona grigia di compromesso. È lo spazio che ha consentito prima la coalizione gialloverde, poi quella opposta giallorossa, trovando sfogo nel governo dei Migliori.

Che tale zona, divaricata da un’estrema debolezza dei partiti di sistema post voto, porti alle dimissioni di Mattarella e l’elezione di Draghi alla presidenza della Repubblica, è una possibilità. In questa direzione va letta la richiesta di dimissioni a Mattarella fatta da Berlusconi. Non una boutade ma una strategia comunicativa, con l’immancabile corredo di ‘ah, signora mia!’. Si prepara il popolo con dosi omeopatiche di inganni. È stato fatto per oltre due anni, e obiettivamente ha funzionato.

Con Draghi presidente, chi farnetica di ‘agenda Draghi’ o ‘metodo Draghi’ (quanto meno dovrebbero farci sapere dove siano raccolti gli impegni del Migliore, e dove i principi fondamentali del suo metodo taumaturgico siano organicamente formulati) sarebbe soddisfatto, il populicchio straccione avrebbe la sua testa sulla picca (Mattarella), e la destra e ciò che resta dei 5s tornerebbe a venerare il proprio idolo dopo qualche giorno di sfrenato ottimismo festaiolo.

Spero ci attenda qualcosa di meglio dei migliori.

 


 

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