di Elena Mancini
In un tempo di Quaresima difficile, in cui soffiano venti scismatici e blasfemie varie aleggiano sulle nostre chiese (e Chiese), ritengo che sia giunto finalmente il momento di mostrarvi dall’interno la situazione della Chiesa austriaca e di quella tedesca. Per farlo, parto dal racconto di un evento che mi ha coinvolto personalmente e che può dare a molti una visione più intima e dettagliata della vita di noi cattolici del Centro-Nord Europa.
Martedì scorso la scuola di due dei miei figli ha organizzato il “Progetto Pasqua”, cioè una mattinata in cui ogni classe, insieme al proprio professore di religione, partecipa a un’attività extrascolastica in tema pasquale o sulla religione in generale o a un progetto di solidarietà. La scuola è quella vescovile della città in cui risiedo, Linz (Alta Austria), ovvero la scuola ufficiale della Diocesi, scuola cattolica ed ex seminario minore, in cui oggigiorno sono ammessi ragazzi di ogni confessione religiosa: esclusi, secondo statuto, sono solo gli agnostici e gli atei. L’intento dell’articolo non è in alcun modo quello di parlare male di questa scuola, che, anzi, apprezzo davvero tanto e di cui stimo molto direttore e corpo docente, ma per circostanziare il racconto non posso non citarla.
I professori della classe di mia figlia, che frequenta la terza media, hanno scelto di visitare il Duomo e i suoi locali parrocchiali, intrattenuti dalla guida dell’assistente pastorale della parrocchia, la signora S. Quando mia figlia, tredicenne (che chiameremo F come “figlia”), è tornata a casa e io le ho domandato come fosse andata, la sua risposta dal tono scocciato e nervoso è stata “insomma”. L’espressione del viso, poi, era decisamente eloquente. Questa reazione mi ha fatto dispiacere, perché, nel mio essere piuttosto naif, avevo sperato in una mattinata piacevole e interessante. Ovviamente ho chiesto spiegazioni più dettagliate e lì è iniziato il vomitevole racconto. Il primo commento di F è stato: “Tempo sprecato! Non capisco perché abbiamo dovuto ascoltare quella signora, che non ha fatto altro che parlare male della Chiesa!”. Mi sono messa le mani nei capelli, nella certezza di sapere già che cosa avrei sentito di lì ad una manciata di secondi. E infatti non mi sono sbagliata: colei che in quel momento davanti ai ragazzi rappresentava la Diocesi, ha parlato continuamente di quanto la Chiesa fosse ingiusta, perché non permette alle donne di diventare sacerdote. La signora S ha raccontato di quanto lei sia rimasta male quando da giovane ha scoperto di non poter intraprendere il lavoro che desiderava, cioè il sacerdozio (!), così che a quel punto ha deciso di studiare teologia per diventare assistente pastorale e “poter fare così quasi tutto ciò che può fare un prete”, ha detto letteralmente. Lì in Duomo, infatti, l’assistente pastorale S. gestisce l’organizzazione della messa, serve e predica sull’altare. Qui è necessario forse un piccolo inciso per far capire come funzionano le cose in questa, come in tante altre diocesi del mondo di lingua tedesca e dintorni. Nella nostra diocesi esiste da più di 25 anni una Commissione Femminile, che si occupa, fra le altre cose, di offrire alle assistenti pastorali un servizio chiamato “Frauenpredigthilfen” (supporti per la predicazione delle donne), in cui a scadenze regolari una delle teologhe o assistenti pastorali impiegate nella Diocesi (la Chiesa Cattolica in Austria, come in Germania, è il secondo ente per numero di impiegati dopo lo Stato, N.B.), redige una scaletta per la messa della domenica seguente, a beneficio delle altre donne, che potranno così prendere spunto dalle idee delle colleghe per quanto riguarda invocazioni, formula di assoluzione, introduzione alle letture, omelia, preghiera dei fedeli, testi per la meditazione dopo la comunione, preghiera finale, benedizione e canti (sono andata in ordine seguendo uno di questi testi come esempio). Da questa breve spiegazione si può intuire quali siano i tanti e diversi compiti che si arrogano, sostituendo di fatto il sacerdote, gli assistenti ma soprattutto le assistenti pastorali durante la liturgia eucaristica e a ciò si riferiva la nostra rappresentante della diocesi di Linz.
Ma torniamo proprio a lei e al modo in cui questa donna ha accolto i giovani studenti di terza media durante il loro “progetto pasquale”, fra banalità, progressismi triti e ritriti ed evidenti contraddizioni. Riferisco qui solo ed esclusivamente ciò che mia figlia ha sentito con le sue orecchie e per come me l’ha riportato lei. Innanzitutto, come già introdotto, S. ha sostenuto che la Chiesa sia ingiusta e sbagli su diversi temi. L’intero dialogo con i ragazzi verteva fondamentalmente su questo. A giustificazione della sua posizione, questa signora ha portato due argomentazioni antitetiche: la prima è il fatto che se Gesù ha scelto come apostoli solo uomini, questo sarebbe stato motivato dallo grado di sviluppo e di cultura della società dell’epoca, durante la quale alle donne non venivano affidati incarichi importanti, tanto meno quello di predicare; l’altro fattore che secondo lei proverebbe l’ingiustizia della Chiesa moderna, sarebbe però un altro “dato di fatto”: uno fra i dodici apostoli sarebbe stato una donna e non un uomo, perché i ricercatori “hanno dimostrato” che uno dei nomi degli apostoli, in realtà femminile, sarebbe stato tradotto erroneamente al maschile, parole sue. Purtroppo, a mia figlia il dettaglio del nome è sfuggito. Comunque, è interessante: Gesù avrebbe quindi chiamato al servizio sacerdotale solo uomini, perché alle donne ebraiche non veniva affidato alcun incarico di responsabilità, tranne però per una sola donna, scelta, evidentemente, per poi poter giustificare, 2000 anni dopo, il sacerdozio femminile. Una dinamica curiosa! La teologa, ça va sans dire, ha sottolineato più volte come gli eventi del vangelo andrebbero contestualizzati e aggiornati ai tempi di oggi, tutto ciò di fronte ad una classe di tredicenni e alle loro due insegnanti, ovviamente donne: quella di religione e quella d’inglese. Mia figlia ha detto di essere rimasta male in particolare per il fatto che tutti annuissero con la testa a quello che ascoltavano o sostenessero a loro volta tesi identiche a quelle dell’assistente pastorale, la quale avrebbe addirittura sottolineato la propria soddisfazione, esclamando: “Bene! Vedo che siamo tutti d’accordo!”. F era molto rattristata: non solo perché era stata l’unica a dissentire, ma anche perché in pratica la mattinata era trascorsa esclusivamente intorno a quell’argomento. “Io capisco che nei rapporti fra uomini ci possano essere disaccordi e litigi e che si possa anche sbagliare, ma in questo progetto, che doveva essere di Pasqua, si è parlato solo di questioni umane senza mai nominare Dio: tutti i discorsi di S. avevano come tema i rapporti fra le persone, di come si debba essere amici, accoglienti e buoni fra di noi – cose giustissime, certo, ma Gesù non l’ha mai nominato”, mi ha detto mia figlia con serietà. E se ci è arrivata lei… Poi ha continuato: “Io sono femminista (lo afferma sempre, la mia piccola Millicent Fawcett! N.d.R.) ma non in questo caso! Qui il femminismo non c’entra niente, perché si parla di Chiesa! Che poi”, ha continuato, “non è nemmeno vero che la Chiesa non stimi le donne e che queste non abbiano un compito importante, perché la persona più importante, più perfetta, anzi l’unica perfetta al mondo, è Maria! Altro che maschilismo!”. Come darle torto? Inoltre, se si pensa che il Risorto si è manifestato a delle donne, prima che a chiunque altro, facendo di loro Sue testimoni, non si può non riconoscere come nel Cristianesimo la donna sia stata stimata e valorizzata come raramente prima di allora. Il punto è che a ciascuno è stato dato un compito, un posto ben preciso nella Chiesa e nella Storia umana, unico e diverso da quello degli altri. “È vero, è così!”, ha concordato con me mia figlia.
“Mamma, mi dispiace tanto di non essere riuscita ad esprimere la mia opinione ad alta voce, lo avrei voluto fare ma non sapevo come.” Ma no, tesoro, tu sei già stata grande: a parte che ci hai provato (effettivamente una volta ha provato a dire la sua, affermando che Dio è Padre, ma è stata ripresa, perché “però Dio può anche essere Madre“), ma soprattutto hai preservato ciò che nel tuo cuore era chiaro e hai formulato un giudizio ben preciso, in contrasto con quello di tutti gli altri. E per di più sei rimasta ferma nella tua fede nella Chiesa, nonostante che la persona che in quel momento rappresentava per te una certa autorità all’interno di essa, la stesse bistrattando. Hai solo tredici anni, imparerai con il tempo a far conoscere la tua posizione e a difenderla: pensa che nemmeno tanti adulti ci riescono!
“Cos’altro ha detto la signora S.?”, ho chiesto infine. “Mamma, si è lamentata anche nei confronti del papa che secondo lei non farebbe… non darebbe… senti, non ho capito bene di che cosa si stesse lamentando, perché a quel punto avevo già smesso di ascoltarla!”. Che dirti, figlia mia: non posso che comprenderti.
Una Chiesa profondamente malata
Questo episodio mi ha colpito davvero molto, non solo per il dispiacere di sentir parlar male della mia amata Chiesa a dei ragazzini, che probabilmente non hanno neppure molte altre occasioni per incontrarla nella sua essenza più vera, cioè come Corpo Mistico di Cristo; non solo per lo squallore di assistere al triste spettacolo di un’impiegata a “livello dirigenziale“, che sparla pubblicamente dell’azienda per cui lavora (in quale altro caso una cosa del genere sarebbe tollerato dall’azienda stessa?!): sono più di vent’anni che conosco la situazione di questa diocesi e “cosette del genere“ sono all’ordine del giorno. No, questo episodio mi ha colpito soprattutto perché è capitato durante un periodo in cui io stessa stavo iniziando a ripensare alla mia presenza in questa Diocesi e nell’intera Chiesa locale austriaca e a considerare se sia giunto il momento, anche per me, di difendere la mia Chiesa, la mia fede e Gesù, quello vero, che non è il “fondatore dell’azienda” che stipendia la signora S., bensì Colui che ha patito gli strazi della persecuzione e della morte in croce per la salvezza mia e dell’assistente pastorale. Il mio approccio con i modernisti austriaci, con le loro brutture, le loro offese alla liturgia e alla Chiesa Cattolica (alcuni durante il “Credo Apostolico”, che si recita durante la messa, sostituiscono il passaggio “credo […] nella santa Chiesa Cattolica” con “nella santa Chiesa Comune”, scandendo “comune” con decisione e orgoglio), le loro messe in scena durante le celebrazioni eucaristiche e la loro irrefrenabile voglia di distruggere ciò che gli è stato affidato dalla Dottrina e dalla Tradizione, è stato caratterizzato per molti anni dalla pazienza e dal tentativo di discernere ciò che potevo in fin dei conti tollerare o accettare, pur nell’alveo della fermezza nella Verità. I primi anni in cui, venendo da una realtà all’epoca ancora fondamentalmente sana come quella della maggioranza delle parrocchie italiane, mi sono ritrovata proiettata nel mondo delle celebrazioni eucaristiche austriache, a me totalmente sconosciuto fino ad allora, sono stata vittima di uno shock totale: da un lato a causa della mia autoreferenzialità, per cui ogni gesto che non fosse identico a quello da me conosciuto fin dal battesimo, era per me strano e assurdo, mentre poi ho scoperto che alcune modalità di vivere la cerimonia e alcune tradizioni austriache erano più fedeli alla messa di sempre (quella tridentina) rispetto a quelle italiane del novus ordo; dall’altro lato per lo scandalo di ciò che vedevo o di cui venivo a conoscenza. Fin da subito, infatti, mi sono dovuta confrontare con situazioni per me all’epoca sconvolgenti, come la celebrazione della liturgia da parte delle ormai famigerate assistenti pastorali, talvolta dall’inizio della messa fino all’omelia (inclusa la lettura del Vangelo), o come le letture del giorno scambiate arbitrariamente con altre o saltate a piè pari. Con la lista degli abusi potrei continuare a lungo, ad esempio parlando delle “diaconesse” che alzano il calice accanto al celebrante durante l’elevazione, delle messe di Natale senza il Credo, della comunione data e presa da tutti indifferentemente. Quest’ultimo fatto non stupisce, se si considera che il concetto di peccato è quasi totalmente sparito, dal lessico e dalla visione complessiva dell’uomo da parte dei presbiteri, come lo è il sacramento della riconciliazione, che molto raramente si trova negli orari della parrocchia, al massimo una volta prima di Natale o Pasqua e di solito sotto la dicitura “possibilità di confessione o colloquio“. Significativo, infatti, è l’approccio degli insegnanti di religione con la preparazione dei bambini alla Prima Comunione, che qui avviene in seconda elementare. Ai comunicandi infatti è spesso negata la Prima Confessione, che viene spostata “a dopo la prima comunione, perché nelle settimane precedenti non c’è tempo” o saltata a piè pari per sempre, con il risultato che molti bambini si accostano all’Eucaristia per la prima volta senza assoluzione e diventeranno adulti che nel migliore (o peggiore) dei casi continueranno a comunicarsi senza mai essersi confessati una sola volta in vita loro. Concludo la lista degli orrori con la situazione diffusa dei sacerdoti impegnati in relazioni proibite con donne o con uomini, facendo l’esempio, ormai ben conosciuto fra i miei conoscenti, del parroco di quella che dovrebbe essere la mia parrocchia di appartenenza, il quale vive con moglie (alcuni parrocchiani sostengono che si siano “sposati” religiosamente) e tre figli ormai grandi, in una villetta dall’altra parte della strada rispetto alla chiesa. I figli fino a poco tempo fa hanno fatto parte insieme a lui della gestione ufficiale della parrocchia stessa, che, come dico sempre, è diventata così un’azienda a conduzione familiare.
Decenni di abusi
Ebbene sì, la mia diocesi, sotto la guida pluridecennale di un vescovo progressista che ha permesso tutto ciò, anzi, che lo ha avallato, tra l’inizio degli anni ’80 e i primi anni del nuovo millennio, è diventata la più eretica e blasfema dell’Austria. Non posso non ricordare l’evento più eclatante avvenuto sotto quel vescovo il 29 giugno 2002, festa dei santi Pietro e Paolo, ovvero l’“ordinazione presbiteriale” contra legem di sette donne dalle mani del già scomunicato vescovo argentino mons. Rómulo Braschi su un battello sul Danubio. Due di queste, la tedesca Gisela Forster e l’austriaca, nata proprio a Linz in un quartiere quasi adiacente al mio, Christine Mayr-Lumetzberger, subito dopo la loro “ordinazione” sacerdotale ricevettero addirittura quella “episcopale”, attraverso tre vescovi della Chiesa Cattolica rimasti, che io sappia, sconosciuti. “Monsignora” Christine Mayr-Lumetzberger, ovviamente scomunicata dal Cardinal Ratzinger come le altre sei, da allora ha operato indisturbata come pretessa (?) in una parrocchia della periferia della nostra grande Diocesi, alternandosi nei suoi locali a un parroco compiacente: è certo che centinaia di fedeli in questi anni abbiano scelto la vescova (?) per battesimi, matrimoni, funerali e come sacerdote(ssa) e guida e, per quel che ne so, sembra che lei sia ancora lì, al posto che si è conquistata.
A leggere queste notizie tutte insieme, si riceve sicuramente un’impressione molto forte e quindi sono sicura che capirete quanto potessi stare male io negli anni fra il 2000 e il 2005 in cui mi sono approcciata alla conoscenza di questa per me nuovissima realtà. Non sono state poche le volte in cui mi sarei voluta alzare per lasciare quella che sarebbe dovuta essere una messa, ma che a me non pareva affatto tale. A volte l’ho fatto, altre volte sono rimasta, soffrendo, magari perché su una parete vedevo l’immagine sorridente di Santa Teresina di Lisieux che mi richiamava alla calma. Poi per grazia di Dio ho incontrato le due realtà secondo me più belle e fruttuose della nostra Diocesi (a parte la Fraternità Sacerdotale San Pietro, che però non conosco bene): i fratelli e padri del Carmelo e, più recentemente, la parrocchia guidata dai sacerdoti del Cammino Neocatecumenale. In queste due chiese ho trovato una sorta di strana comunità allargata, quella dei cattolici “fedeli a Roma”, come direbbero qui, di Linz e dintorni che frequentano le numerose messe sia domenicali che infrasettimanali, a fronte di un numero a dir poco risicato di messe nelle altre parrocchie, vari eventi comunitari, gruppi di preghiera o di catechesi, ritiri, pellegrinaggi, preparazione ai sacramenti, ecc… Queste due realtà sono parte della mia nuova grande famiglia di fratelli in Cristo: qui ho conosciuto i fondatori di Jugend für das Leben (“Giovani per la Vita”), un tempo ragazzi universitari, adesso sposi e padri e madri di famiglia, di cui l’uno ha fondato la famosa rivista online (molto spesso citata in questo blog) kath.net, l’altra è diventata direttrice di una bellissima piccola scuola cattolica (anche se la Diocesi non l’ha ancora riconosciuta come tale, chissà perché…) frequentata da uno dei miei figli, l’altra è diventata il deputato cattolico più famoso dell’Austria, ecc… amici più o meno vicini con cui ci incontriamo a Linz o anche in provincia, in ritrovi, gruppi vari, offerte formative per i figli e quasi sempre nelle stesse celebrazioni eucaristiche, anche se abitiamo tutti in zone differenti della città o addirittura del Land. Da questa realtà così martoriata, insomma, ne è nata un’altra altrettanto visibile ma fresca, positiva, fruttuosa e fedele. Io all’inizio mi sono posta la domanda se rimanere nella mia parrocchia (quella “a conduzione familiare”) per rendere testimonianza e non scappare di fronte ai lupi, ma vedevo che il terreno non era morbido, non era accogliente. Con mio marito, quindi, abbiamo deciso di richiedere un appuntamento al nostro vescovo di allora, Ludwig Schwarz, un mite salesiano, totalmente “retto” ma forse con poco polso per una diocesi come quella e per succedere al precedente vescovo progressista amato da tutti. Volevamo conoscere la sua la sua opinione: saremmo dovuti rimanere in parrocchia o avremmo potuto scegliere di frequentare regolarmente la comunità dei Carmelitani? Noi ci saremmo rimessi al suo volere. Ricordo benissimo che Mons. Schwarz ci chiese quale fosse la nostra parrocchia e non dimenticherò mai la sua faccia una volta sentito il suo nome: “Andate pure dai Carmelitani!”, disse, con un cenno della mano e un fare sconsolato. Da allora ho sempre cercato di valorizzare tutto il positivo che incontravo e di assorbire il Bene che mi veniva donato, dando un po’ per scontato che tutto il resto esisteva e che nessuno poteva farci niente. Sì, perché, come ci aveva dimostrato il buon Schwarz, tutti ai vertici, fino a Papa Benedetto, sapevano. E cioè tutto, ma avevano le mani legate. Quello che per anni ho cercato di far capire a chi, soprattutto in Italia, si scandalizzava per l’una o per l’altra dichiarazione, per l’uno o l’altro evento in Germania o in Austria, esigendo richiami e rimozioni, era il fatto che la situazione fosse già da decenni molto più “avanti” di quanto non venisse in superficie nei media ufficiali e molto più compromessa e fondamentalmente senza speranza. Lo scisma in questi paesi esiste già da parecchio tempo: è uno scisma di fatto, a cui manca solo la dichiarazione ufficiale. Questa qui è una Chiesa parallela, con regole proprie, tradizioni e percorsi che vanno avanti per conto loro, indipendentemente da ciò che viene detto in Vaticano.
Una battaglia spirituale ma non solo …
Nel frattempo, anche il clima e la situazione nelle altre diocesi sono peggiorati: i vescovi modernisti si sono moltiplicati; dopo quella di Linz, anche la diocesi di Vienna, purtroppo, è diventata sede di numerosi abusi liturgici e sostanziali; insieme ad essa anche la diocesi di Innsbruck e adesso quella di Klagenfurt, per nominare quelle più importanti. Quindi, nonostante fino a poco tempo fa io abbia sempre creduto di potere e dover coltivare il grano distinguendolo dalla gramigna, lasciando quest’ultima dov’è, confidente che il tempo e soprattutto la giustizia di nostro Signore avrebbero fatto il loro corso, nelle ultime settimane ho iniziato a guardare la situazione con occhi diversi. L’inizio della Quaresima è stato contrassegnato dalle solite pagliacciate artistiche spacciate per il classico telo quaresimale (Fastentuch), che tradizionalmente viene issato sull’altare per coprire le immagini sante, nel periodo di quaresima. Dico „solite“, perché l’uso improprio del Fastentuch è un „classico“ delle provocazioni blasfeme dei modernisti: quest’anno hanno iniziato con l’immagine del gigantesco cuore di maiale insaccato in un preservativo, nel Duomo di Innsbruck, poi hanno proseguito a Klagenfurt con l’innalzamento di un’orrenda lingua appesa a sua volta sopra l’altare del Duomo, opera dell’artista (donna, what else?!) Ina Loitzl. Quando poi ho provato il profondo dolore di vedere le immagini della manifestazione blasfema delle “femministe cattoliche” di Klagenfurt, non ci ho visto più: una processione lungo le strade intorno al Duomo, in cui queste donne, vestite carnevalescamente da indefinite sacerdotesse, hanno innalzato vessilli a forma di vulva, intonato litanie sui problemi delle donne e, cosa peggiore di tutte, hanno inscenato una finta eucarestia distribuendo ostie ai „fedeli“ presenti in piazza, a mo’ di comunione. E non si può nemmeno dubitare che tutto ciò sia stato sostenuto dal vescovo di Klagenfurt, visto che la processione si è conclusa in una cappella del Duomo, in cui vessilli e simboli femministi vari rimarranno presenti e accessibili a tutti, in una „mostra“ che durerà fino a maggio, sotto il motto: “Arte in Duomo“. Uno sparuto gruppo di cattolici austriaci ha provato a ribellarsi a tutto ciò, chiedendo la rimozione della “lingua“ e la riparazione pubblica da parte del vescovo e del parroco del duomo, ma è notizia degli ultimissimi giorni, che il parroco avrebbe respinto la richiesta, sostenendo che „questa installazione vuole affermare che le donne nella Chiesa dovrebbero poter parlare di più e poter avere lo stesso diritto di parola degli uomini e la rimozione dell’opera significherebbe dire alle donne nella Chiesa di tacere“ e ciò non corrisponderebbe al suo pensiero.
La visione di quegli orrori e l’ascolto della loro difesa da parte di prelati e teologi, mi ha talmente disgustato da diventare per me la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso della mia tolleranza, esercitata per ventitré anni, mese più, mese meno.
I membri del clero e della società laica austriaci hanno alzato l’asticella dello scontro, colpendo però non le persone, bensì il cuore della mia fede. Inscenare un’eucarestia fra litanie e immagini blasfeme: come posso accettarlo senza dire niente, senza che a me sia chiesta la difesa di ciò che mi è stato affidato con il battesimo? Come posso lamentarmi nel silenzio del mio salotto, mentre questi, fra cui includo mons. Bätzing (presidente della Commissione Episcopale Tedesca) e compagni, colpiscono con fendenti sempre più pesanti, provocando apertis verbis le gerarchie vaticane per arrivare a cambiare la Chiesa dall’interno o in alternativa farsi cacciare come eretici, dando a quel punto così la colpa dello scisma (che, ripeto, è già oggettivamente in atto) a Roma, “brutta e cattiva”, che, così facendo, avrà dimostrato a tutto il mondo di non essere “inclusiva” come la futura nuova Chiesa tedesca? Le parole di Bätzing alla televisione nazionale tedesca, il 10 marzo scorso, dopo la risoluzione sulla benedizione delle coppie omosessuali, sono state sfacciatamente arroganti e provocatorie: non importa cosa dirà il Papa, noi facciamo così, punto. Davanti a tutto ciò, qual è il nostro compito?
Ogni fedele è chiamato a difendere ciò in cui crede e per me il momento attuale richiede evidentemente questo, piuttosto che una comoda rassegnazione. Ha scritto sua santità Leone XIII nella sua lettera enciclica Sapientiae Christianae (mio il grassetto):
«In tanta pazza confusione di ideologie così vastamente diffuse, è certamente compito della Chiesa assumersi la difesa delle verità e sradicare dagli animi gli errori: questo in ogni tempo e religiosamente, poiché essa deve tutelare l’amore di Dio e la salvezza degli uomini. Ma quando lo richieda la necessità, non solo devono difendere la fede i prelati, ma “ciascun fedele deve propagare agli altri la propria fede, sia per l’istruzione degli altri fedeli, sia per confermarli, o per reprimere gli assalti degli infedeli”[1] . Cedere all’avversario o tacere, mentre dovunque si alza tanto clamore per opprimere la verità, è proprio dell’inetto oppure di chi dubita che sia vero quello che professa. L’uno e l’altro atteggiamento sono ignobili e ingiuriosi a Dio; l’una cosa e l’altra contrastanti con la salvezza individuale e collettiva: sono soltanto giovevoli ai nemici della fede, perché l’arrendevolezza dei buoni aumenta l’audacia dei malvagi.»
e se questo era vero nel 1890, a maggior ragione lo è oggi.
All’inizio della Settimana Santa, la settimana di passione di Gesù Cristo nostro Signore, a ciascuno di noi viene posta la seguente domanda: vuoi assumerti personalmente la responsabilità di difendere l’Ecce Homo, dal volto tumefatto e la pelle lacerata? Il giorno della loro liberazione dagli Egizi, il Signore aveva richiesto agli Ebrei, per salvarsi, solo un segno ma evidente e chiaro: quello del sangue dell’agnello sugli stipiti delle porte delle loro case. Avremo noi il coraggio di mostrare evidente e chiaro il segno del nostro Agnello sacrificale, che nella sua mitezza si offre vittima per noi? Potremmo mai abbandonarlo nelle mani dei suoi aguzzini, dicendo, come Pietro, “non lo conosco“? Io sento rivolte a me, cocenti, queste domande, e desidero imparare da e con mia figlia a testimoniare apertamente la mia fede, rischiando anche di mio, come lei avrebbe voluto fare davanti alla signora S.
[1] S. Thom., Summa theologiae, II-II, quaest. 3, art. 2, ad 2.

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