voto-e-astensione

 

 

di Jacob Netesede

 

Contro il mio interesse, scrivo queste poche righe.

Pronti al voto 46 milioni di elettori italiani.

La tua percentuale di potere è 1/46.000.000esimo.

Se poi aggiungi che è discutibile che i 46.000.000 di elettori possano incidere davvero, il potere scende.

A valle, in primo luogo.

Non scegli quali partiti e non scegli i nomi che i partiti indicano.

Ma non scegli neppure in quali circoscrizioni e in vista di quali incarichi siano proposti quei nomi.

E poi, a monte.

Potrà il vincitore (quindi non solo partecipante, ma vincitore) decidere autonomamente dai soggetti sovranazionali, pubblici e privati?

Potrà la maggioranza al Governo muoversi in autonomia da UE, NATO, FMI, ONU, OMS…?

Potrà il nuovo Governo non subire le pressioni dei grandi investitori internazionali?

Lo sai, del resto: questi poteri proseguiranno il loro percorso, indipendentemente dalla tua crocetta e dai milioni di crocette che verranno segnate il 25 settembre.

Quindi la tua percentuale di potere è, nei fatti, inferiore a 1/46.000.000esimo.

Ma allora perché votare?

Vedo l’astensionismo crescente nutrirsi di vari aspetti.

Schifo (questo è il termine giusto…) per i politicanti.

Odio per la casta.

Delusione per quanto visto, soprattutto negli ultimi due anni.

Percezione delle gravissime collusioni degli attuali governanti con poteri distanti dal popolo.

Fallimento di un sistema al collasso.

Percezione dell’inesistenza di qualcuno di realmente rappresentativo.

Percezione della irrilevanza del voto rispetto a questioni già decise altrove.

Immutabilità di alcune questioni da decenni oggetto di promesse sempre, puntualmente, disattese.

Quindi, di fatto, per apparenti ottime ragioni, mi si dice che il mio 1/46.000.000esimo è inutile o, peggio, coopera, implicitamente autorizzandolo, con il male.

Sull’inutilità.

Il marchio della bestia, quello nel libro dell’Apocalisse, è l’utilitarismo.

Non fai figli, perché è contro la tua utilità.

Non Ti sposi, perché inutile, non fai regali, perché inutile, non ami, perché inutile…

L’utilità del nostro voto, a mio avviso, non può essere il criterio ultimo.

L’utilitarismo di cui sono intrisi molti ragionamenti non mi basta: lo comprendo, ma in fondo manca un pezzo.

Manca un ragionare cattolicamente orientato.

Tutto quello che facciamo, pure votare, è nell’alveo più grande del compiere la volontà di Dio, mi pare.

Tutto quel che proviamo a fare, pure la crocetta, lo facciamo a Sua maggior gloria.

Il Card. Caffarra ci ricordava la storia di Gedeone, di quando una grande e decisiva battaglia stava per iniziare e “Il Signore disse a Gedeone: «La gente che è con te è troppo numerosa, perché io metta Madian nelle sue mani; Israele potrebbe vantarsi dinanzi a me e dire: La mia mano mi ha salvato”.

E Gedeone ridusse il numero dei suoi soldati.

Caffarra commenta questo passo con un’altra citazione: “nella grande lotta contro coloro che volevano imporre una cultura pagana al popolo ebreo, i Maccabei ad un certo momento dovettero affrontare un esercito molto molto forte e molto numeroso, per cui molti nell’esercito dei Maccabei lasciarono e scapparono. A questo punto ne rimasero un centinaio, quindi niente! Allora i generali di Giuda Maccabeo gli consigliarono quello che in questi casi, in tutte le strategie, si consiglia cioè non affrontarli direttamente ma la guerriglia, perché sennò si è distrutti. Giuda Maccabeo ascolta e dice: “perché il Signore fa più fatica a compiere la sua opera se siamo in dieci che se fossimo in cento?””.

Forse Dio, nella storia, vince più facilmente se siamo 1 persona o 1 milione o 46 milioni?

Se lavoriamo per l’opera di Dio e non per l’opera dello Stato, non abbiamo come criterio ultimo la forza delle nostre risorse.

A noi è dato usare meno di 1/46milionesimo di potere.

Che nelle mani di Dio può vincere: quindi non decido se votare o non votare in base all’efficacia, umanamente parlando, della mia crocetta.

Sulla cooperazione con il male.

La questione, qui, mi pare la seguente: coopero maggiormente con il male votando o astenendomi?

Chiamata in causa è la coscienza, mi pare.

Si può pensare che ogni autorità, come insegna S. Paolo, derivi da Dio: “Non vi è infatti autorità se non da Dio” (Rm 13,1).

Commenta S. Giovanni Crisostomo: “Che dici? Forse ogni singolo governante è costituito da Dio? No, non dico questo: qui non si tratta infatti dei singoli governanti, ma del governare in se stesso. Ora il fatto che esista l’autorità e che vi sia chi comanda e chi obbedisce, non proviene dal caso, ma da una disposizione della Provvidenza divina” (S. GIOVANNI CRISOSTOMO, In epist. ad Rom., c. 13).

Sei tu più bravo di Dio nel dire quale autorità oggi debba essere permessa?

Questo non significa approvare la legge di questa autorità, in quanto tale: ‘‘La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza” (S. TOMMASO, Summa Theologiae, I-II, 93, 3, ad 2).

Tuttavia, ciò che sconfigge l’imperatore e la sua mentalità è il martirio, non il calcolo politico sull’uso dell’astensione.

Non vorrei scadere nella superbia, del tipo: “io so come dovrebbe essere il mondo, il governo, il potere, l’organizzazione delle autorità…”.

Che poi significa: “io so cosa sia bene e cosa sia male che accada per me e per gli altri”.

Il mio realismo, per quanto mi sforzi di comprendere tutto, è pur sempre limitato.

Oggi il buon Dio mi assegna 1/46milionesimo di potere: io voglio essere fedele nel poco!

Se Dio mi volesse presidente, non potrebbe? Forse accettiamo la presidenza e non il martirio dei senza potere?

Sul realismo di Dio, interessante rileggere quanto un amico mi ha ricordato della vicenda della Beata Madre Elena Aiello: le locuzioni di Gesù sui tipi di autorità che Dio permette per far fronte al dilagare del comunismo potrebbero far cadere dalla sedia molti moralistici cattoliconi.

L’idea del peccato di omissione, della rinuncia all’utilizzo al minimo potere che il Signore mi attribuisce, mi inquieta un poco.

Lo vedo come dire: siccome io so che tutto è un disastro, siccome io so che tutto è corrotto, siccome so che l’unica cosa che aspetto è l’Apocalisse, siccome so che tra poco finisce il mondo, siccome so che i tempi sono maturi, siccome so che adesso vien giù tutto e i cattivi la pagheranno… allora mi metto alla finestra e loro facciano i loro giochini.

Ma tu conosci i tempi di Dio? Ma non era tutto corrotto anche 5 anni orsono? 50 anni orsono? 500 anni orsono?

Con una certa paolina umiltà, possiamo dire che “nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare”, in fondo in fondo.

Io so che oggi Dio mi assegna meno di 1/46milionesimo di potere: di questo mi chiederà conto.

Non mi chiederà conto delle scelte del Papa, neppure di quelle di Biden o di Putin, neppure di quelle di Bill Gates o di San Riccardo Pampuri.

Mi chiederà conto del mio piccolo talento: il sotterrarlo e poi scusarmi dicendo che non volevo collusioni con le banche mi puzza di omissione.

Il problema non è che io abbia, o meno, fiducia nella politica e nel sistema, il problema è che chiedo il timor di Dio.

A Lui, sottovoce, domenica in latino ripeterò: sed libera nos a malo.

 


 

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