Ricevo e volentieri segnalo il nuovo libro libro degli autori Rodolfo Papa e Aurelio Porfiri (2019). Ascoltare i colori. Dialoghi fra musica e pittura per i tipi della Chorabooks.

Di seguito uno stralcio.
Copertina del libro “Ascoltare i colori” di Aurelio Porfiri e Rodolfo Papa

Copertina del libro “Ascoltare i colori” di Aurelio Porfiri e Rodolfo Papa

I problemi della cultura cattolica

Aurelio Porfiri – Dopo quello che abbiamo detto in precedenza, mi sembra che bisogna parlare di uno degli aspetti più delicati che coinvolge anche me e te, cioè quello della cultura cattolica. Inutile girarci intorno, la cultura cattolica è in profonda crisi proprio perché ormai non fa cultura, ma è lì pronta a raccogliere i rimasugli di quello che lascia la cultura profana. Anche se a noi questo fenomeno dà certo noia, non siamo così stupidi da non capire che questo in fondo è un fenomeno storicamente comprensibile, con l’arte profana divenuta indipendente da quella sacra si crea anche un paradigma dell’arte profana che poi si fa commerciale nel secolo del capitalismo sfrenato, il ventesimo. Certo, l’evoluzione dell’arte profana può essere compreso, quello che è preoccupante è l’arrendersi al mondo della Chiesa cattolica. Tutti i grandi artisti sono stati capaci di grandi sintesi, mi sembra lo dicevamo in precedenza. Ma avevano sempre di fronte il paradigma, la tradizione, sui cui innestavano tutto ciò che di buono trovavano, a volte anche fuori del Tempio. Oggi no, si parte dalla tabula rasa, alla fine il problema è sempre quello, il disprezzo per la tradizione, l’idea di progresso senza passato.

Rodolfo Papa – Certo se si guarda il fenomeno dal centro del territorio nel quale si sta vivendo la crisi, la prospettiva è desolante. Se poi lo si osserva dalla periferia del luogo di crisi, già appare meno preoccupante perché si osserva come, in un certo senso, si sia innestata una dinamica di rinnovamento, doloroso, ma per certi versi necessario. Se addirittura lo osserviamo dall’alto ci rendiamo ancor più conto che tutto non avviene in maniera simultanea ed istantanea, ma che procede a macchie, e che ci sono resilienze anche molto creative che si oppongono alla omologazione del mercato globale del pensiero unico e politicamente corretto. Se poi lo osserviamo nello scorrere del tempo e lo confrontiamo con altri momenti di crisi nella storia del pensiero e nella storia dell’occidente cristiano, si evince una certa somiglianza ad altri tempi i cui si è stati costretti a fare nuove sintesi e a riappropriarci con fatica di quanto di buono si era fin lì prodotto. Del resto, se dal punto di vista personale la scelta di essere per Cristo può durare per tutta la vita, non lo è a livello sociale, poiché ogni generazione deve scegliere, e si è sempre soggetti a mutamenti ed a perdite di senso. Se dal punto di vista economico quel che si è accumulato lo si può far passare come eredità alla generazione successiva, dal punto di vista della fede e della cultura non è così semplice e così scontato. Per far comprendere bene la dimensione della catastrofe del passaggio di testimone tra generazioni Ortega y Gasset creò una immagine efficace, ovvero quella delle invasioni barbariche orizzontali e verticali. Nelle prime, quelle orizzontali, se pur nella devastazione e nel dolore della morte, a volte è capitato che il danno subito sia stato convertito in opportunità per rendere la città più bella di prima ed in totale continuità con la tradizione. Nelle seconde, quelle verticali, la crisi non è esterna, non ci sono barbari che superano i confini e devastano il territorio, ma semplicemente una generazione smette d’insegnare a quella successiva e/o quella successiva smette d’imparare da quella precedente. In questo secondo caso, le conseguenze sono devastanti e quasi irrimediabili, tutto si perde e si getta via come inutile o superato. Dal qualche secolo a questa parte, come molti filosofi ci hanno raccontato, Del Noce, Fabro, Maritain, Morra o Todorov la perdita dell’identità ci crea non pochi problemi ed il neopaganesimo si sta profilando come dimensione culturale e sociopolitica.

AP – Quello che dici è molto complesso e difficile da commentare in poche parole. Vorrei solo dire che il centro del territorio dove ci troviamo, almeno io e te, è Roma, che vuol dire dove si trova il Vaticano e il potere ecclesiastico che in teoria è in carico anche delle direttive per l’arte sacra e la musica sacra. Non è come trovarsi ad Addis Abeba o a Lione. Mi sembrano molto pertinenti le tue osservazioni per dare una ragione del fenomeno desolante di cui parliamo che non è, si badi bene, un fenomeno limitato all’arte e alla musica, ma un fenomeno generalizzato e a suo modo globale. Cioè, c’è stato un crollo del senso cattolico della cultura, una cultura oramai completamente dipendente da ciò che si produce nel mondo profano, specialmente nel suo versante commerciale. Ora, per aggiungere anche io una nota di speranza, è vero che ci sono segnali di risveglio e rinascita ma sono quasi completamente in carico a laici, essendo oramai gran parte del clero abbandonato ad una deriva culturale che è di difficile risoluzione. Un arcivescovo mi diceva che i preti di oggi sono il frutto, come noi, di questa società. Io penso non è solo questo il problema, ma anche questo. Il discorso è che il prete medio, il vescovo medio, sono quelli che devono sposare e sottostare ad una certa narrativa che solo con grande coraggio e cultura puoi sfidare, quella narrativa che vede nell’abbraccio acritico con la contemporaneità, nella preminenza del sociale sullo spirituale, nell’inchinarsi ad un certo buonismo imperante, quasi una necessaria caratteristica del vir catholicus. Io non posso non rimarcare quanto questo sia falso e come la salvezza possa venire solo dai laici, più liberi di agire.

RP – Per intendere meglio quel che sta accadendo nel nostro mondo attuale, parlerò apparentemente di altro. Ho ricevuto nella mia Accademia Urbana delle Arti, che ha lo scopo di studiare e sviluppare la sapienza delle arti, una signora giapponese che vive e lavora a Roma da decenni. La signora mi ha fatto vedere il risultato della sua ricerca e del suo lavoro artigianale, che è consistito nello studiare le antiche tradizioni manifatturiere della filatura, tinteggiatura e tessitura italiana. Una giapponese che amorevolmente ha raccolto per decenni tutti i segreti che gli anziani le hanno rivelato per non farli cadere nell’oblio. La sua proposta è quella di poter aprire nella mia Accademia un corso per insegnare ai giovani “italiani” tutto quanto lei sa, al fine di far rinascere queste nostre bellissime tradizioni, non solo come evento identitario, ma anche economico. I suoi prodotti vengono acquistati sia nel mondo dell’alta moda italiana che in quella giapponese. Anzi mi ha raccontato che il mercato giapponese è quello più interessato, in quanto più attento a tutto ciò che è made in Italy. Questo è il paradosso nel quale stiamo vivendo, in attesa che il risveglio coinvolga tutti. Presumo che i primi a guidare saranno dei laici, e poi vedremo i membri del clero diocesano. In passato, molta cultura è stata prodotta per secoli dai monaci prima e dai frati dopo, ma la crisi degli ordini monastici e conventuali fa pensare che ci vorrà ancora un poco di tempo prima che le arti ritornino a rifiorire tra le mura di conventi e monasteri. Non è mai questione di primati, non si hanno meriti speciali nel lavorare alla “vigna del Signore”, in quello o quell’altro compito, ma semplicemente si cerca di rispondere ad una chiamata, a volte anche solo per mantenere l’avamposto vigile e non sguarnito in attesa che altri vengano a prendere il testimone e trasportarlo nel futuro. Per inserire una vera nota di speranza, carissimo Aurelio, sono convinto che il peggio sia ormai alle nostre spalle, perché vedo un grande fermento e la presa di coscienza che il modernismo, con tutte le sue varie ramificazioni ideologiche in ogni campo, sia finito ed i segnali li troviamo forti in ogni dove. Centinaia di giovani si dedicano spontaneamente al recupero delle varie tradizioni artistiche e culturali in molta provincia italiana; molti stanno studiando per riprendere a produrre bellezza; altri ancora come la mia amica giapponese ci stanno insegnando chi siamo realmente e quale sia la strada da intraprendere per uscire dalla crisi economica e culturale nella quale ci siamo venuti a trovare. Io sono molto ottimista, anzi sono entusiasta perché tutto sommato questa crisi alla fine avrà il merito di farci prendere coscienza in profondità dei nostri valori e tra questi, ai posti più in alto, c’è appunto la bellezza.

 

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