John-Henry Westen, direttore di Lifesitenews, scrive una lettera all’arcivescovo Carlo Maria Viganò chiedendogli di chiarire il suo pensiero in merito al Concilio Vaticano II, in particolare se ritenga che esso “non sia valido e quindi da ripudiare completamente, o se crede che, pur essendo un Concilio valido, contenga molti errori e che i fedeli sarebbero meglio serviti facendolo dimenticare”. Di seguito la lettera che l’arcivescovo Carlo Maria Viganò in risposta ha scritto a John-Henry Westen. Eccola nella mia traduzione.
Caro John-Henry,
La ringrazio per la sua lettera, con la quale mi dà l’opportunità di chiarire quanto ho già espresso sul Vaticano II. Questo delicato argomento coinvolge personalità di spicco del mondo ecclesiastico e non pochi laici eruditi: Confido che il mio modesto contributo possa contribuire a togliere la coltre di equivoci che pesa sul Concilio, portando così a una soluzione condivisa.
Lei comincia dalla mia prima osservazione: “È innegabile che dal Concilio Vaticano II in poi è stata costruita una chiesa parallela, sovrapposta e diametralmente opposta alla vera Chiesa di Cristo”, per poi citare le mie parole sulla soluzione dell’impasse in cui ci troviamo oggi: “Sarà per uno dei suoi Successori, il Vicario di Cristo, nella pienezza della sua potenza apostolica, ricongiungersi al filo della Tradizione là dove è stato tagliato. Non sarà una sconfitta, ma un atto di verità, di umiltà, di coraggio. L’autorità e l’infallibilità del Successore del Principe degli Apostoli emergeranno intatte e riconfermate”.
Lei afferma poi che la mia posizione non è chiara – “(ci si chiede, ndr) se crede che il Vaticano II sia un Concilio non valido e quindi da ripudiare completamente, o se crede che, pur essendo un Concilio valido, contenga molti errori e che i fedeli sarebbero meglio serviti facendolo dimenticare”. Non ho mai pensato e ancor meno ho affermato che il Vaticano II è un Concilio Ecumenico non valido: infatti è stato convocato dalla suprema autorità, dal Sommo Pontefice, e vi hanno partecipato tutti i Vescovi del mondo. Il Vaticano II è un Concilio valido, sostenuto dalla stessa autorità del Vaticano I e di Trento. Tuttavia, come ho già scritto, dalla sua origine è stato fatto oggetto di una grave manipolazione da parte di una quinta colonna che è penetrata nel cuore stesso della Chiesa che ne ha pervertito i fini, come confermano i risultati disastrosi che sono sotto gli occhi di tutti. Ricordiamo che nella Rivoluzione francese, il fatto che gli Stati Generali fossero stati legittimamente convocati il 5 maggio 1789, da Luigi XVI, non ha impedito che le cose degenerassero nella Rivoluzione e nel Terrore (il confronto non è fuori luogo, poiché il cardinale Suenens ha definito l’evento conciliare “il 1789 della Chiesa”).
Nel suo recente intervento, Sua eminenza il cardinale Walter Brandmüller sostiene che il Concilio si colloca in continuità con la Tradizione, e a riprova di ciò fa notare:
È sufficiente dare uno sguardo alle note del testo. Si può così constatare che all’interno del documento vengono citati addirittura dieci concili precedenti. Tra questi, il Vaticano I viene portato come riferimento 12 volte, il Tridentino ben 16. Già da questo si evince che, per esempio, un “distacco da Trento” va escluso in maniera assoluta.
Ancora più stretto appare il rapporto con la Tradizione, se si pensa che, tra i pontefici, Pio XII viene citato 55 volte, Leone XIII in 17 occasioni e Pio XI in 12 passi. A loro si aggiungono poi Benedetto XIV, Benedetto XV, Pio IX, Pio X, Innocenzo I e Gelasio.
L’aspetto più impressionante è tuttavia la presenza dei Padri nei testi di “Lumen gentium”. I Padri ai cui insegnamenti fa riferimento il concilio sono addirittura 44. Tra loro spiccano Agostino, Ignazio di Antiochia, Cipriano, Giovanni Crisostomo e Ireneo.
Vengono inoltre citati i grandi teologi, ovvero i dottori della Chiesa: Tommaso d’Aquino in ben 12 passi, insieme ad altri sette nomi di peso.
Come ho sottolineato nell’analogo caso del Sinodo di Pistoia, la presenza di contenuti ortodossi non esclude la presenza di altre proposizioni eretiche né ne mitiga la gravità, né si può usare la verità per nascondere anche un solo errore. Al contrario, le numerose citazioni di altri Concili, di atti magisteriali o dei Padri della Chiesa possono servire proprio a nascondere, con intento doloso, i punti controversi. A questo proposito, è utile ricordare le parole del Tractatus de Fide orthodoxa contra Arianos, citato da Leone XIII nella sua enciclica Satis Cognitum:
“Niente vi può essere di più pericoloso di questi eretici, i quali, mentre percorrono il tutto (della dottrina) senza errori, con una sola parola, come con una stilla di veleno, infettano la pura e schietta fede della divina e dell’apostolica tradizione”
Leone XIII quindi commenta:
Tale, appunto, fu sempre il modo di comportarsi della Chiesa, e ciò anche per l’unanime giudizio dei santi Padri, i quali considerarono sempre eretici e scomunicati tutti coloro che, anche per poco, si allontanarono dalla dottrina proposta dal legittimo magistero.
Sulle pagine de L’Osservatore Romano, in un articolo del 14 aprile 2013, il cardinale Kasper ha ammesso che “in molti punti [i padri conciliari] hanno dovuto trovare formule di compromesso, in cui spesso si trovano le posizioni della maggioranza (conservatori) accanto a quelle della minoranza (progressisti), volte a delimitarle. I testi conciliari stessi hanno quindi un enorme potenziale di conflitto, aprendo la porta a un’accoglienza selettiva in entrambe le direzioni”. Questa è l’origine delle relative ambiguità, delle patenti contraddizioni e dei gravi errori dottrinali e pastorali.
Si potrebbe obiettare che il prendere in considerazione la presunzione di malizia in un atto magisteriale dovrebbe essere respinto con disprezzo, poiché il Magistero dovrebbe mirare a confermare i fedeli nella Fede; ma forse è proprio la frode intenzionale che fa sì che un atto si riveli non magistrale e ne autorizza la condanna o ne decreta la nullità. Con queste parole Sua Eminenza il Cardinale Brandmüller ha concluso il suo commento: “Sarebbe opportuno evitare l’’ermeneutica del sospetto’ che accusa l’interlocutore fin dall’inizio di concezioni eretiche”. Pur condividendo sicuramente questo sentimento in astratto e in generale, ritengo opportuno formulare una distinzione per meglio inquadrare questo caso concreto. Per fare questo, è necessario abbandonare l’approccio, un po’ troppo legalistico, che considera tutte le questioni dottrinali inerenti alla Chiesa come riducibili e risolvibili principalmente sulla base di un riferimento normativo: non dimentichiamo che la legge è al servizio della Verità, e non viceversa. E lo stesso vale per l’Autorità che è ministro di quella legge e custode di quella Verità. D’altra parte, quando Nostro Signore ha affrontato la sua Passione, la Sinagoga ha disertato la sua vera funzione di guida del Popolo eletto nella fedeltà all’Alleanza, così come ha fatto parte della Gerarchia per sessant’anni.
Questo atteggiamento legalistico è alla base dell’inganno degli Innovatori, coloro che hanno ideato un modo molto semplice per attuare la Rivoluzione: imporla in virtù dell’autorità con un atto che l’Ecclesia docens (Chiesa docente) ha adottato per definire le verità della Fede con una forza vincolante per l’Ecclesia discens (Chiesa dei fedeli), ribadendo tale insegnamento in altri documenti altrettanto vincolanti, seppure di grado diverso. Insomma, si è deciso di apporre l’etichetta “Concilio” a un evento ideato da alcuni con lo scopo di demolire la Chiesa, e per far ciò i cospiratori hanno agito con intenti malevoli e scopi sovversivi. Diceva candidamente padre Edward Schillebeecks: “Lo esprimiamo diplomaticamente, ma dopo il Concilio ne trarremo le conclusioni implicite” (De Bazuin, n. 16, 1965).
Non si tratta quindi di una “ermeneutica del sospetto”, ma al contrario di qualcosa di molto più grave di un sospetto, corroborato da una serena valutazione dei fatti, oltre che dall’ammissione degli stessi protagonisti. A questo proposito, chi tra loro è più autorevole dell’allora cardinale Ratzinger?
L’impressione è cresciuta costantemente che nulla fosse ormai stabile nella Chiesa, che tutto fosse aperto alla revisione. Sempre più il Concilio è apparso come un grande parlamento della Chiesa, che poteva cambiare tutto e rimodellare tutto secondo i propri desideri. Molto chiaramente cresceva il risentimento contro Roma e contro la Curia, che sembrava essere il vero nemico di tutto ciò che era nuovo e progressista. Le dispute in Concilio erano sempre più rappresentate secondo il modello partitico del moderno parlamentarismo. Quando le informazioni venivano presentate in questo modo, chi le riceveva si vedeva costretto a schierarsi con uno dei partiti. […] Se i vescovi a Roma potevano cambiare la Chiesa, e anche la fede stessa (come sembrava che potessero), perché solo i vescovi? In ogni caso, la fede poteva essere cambiata – o così ora era apparso, in contrasto con tutto ciò che prima pensavamo. La fede non sembrava più esentata da decisioni umane, piuttosto sembrava ora apparentemente determinata da essa. E sapevamo che i vescovi avevano imparato dai teologi le novità che ora proponevano. Per i credenti, era un fenomeno notevole che i loro vescovi sembravano mostrare a Roma un volto diverso da quello che indossavano a casa. (J. Ratzinger, Milestones, Ignatius Press, 1997, pp. 132-133).
A questo punto è giusto richiamare l’attenzione su un paradosso ricorrente nelle vicende mondiali: il mainstream chiama le persone “teorici della cospirazione” se rivelano e denunciano la cospirazione che il mainstream stesso ha escogitato, per distogliere l’attenzione dalla cospirazione e delegittimare chi la denuncia. Allo stesso modo, mi sembra che vi sia il rischio di definire “ermeneutica del sospetto” chiunque riveli e denunci la frode conciliare, come se si trattasse di persone che accusano ingiustificatamente “l’interlocutore fin dall’inizio di concezioni eretiche”. Occorre invece capire se l’azione dei protagonisti del Concilio possa giustificare il sospetto nei loro confronti, se non addirittura dimostrare che tale sospetto è corretto; e se il risultato da loro ottenuto legittimi una valutazione negativa dell’intero Concilio, di alcune sue parti, o di nessuna di esse. Se ci ostiniamo a pensare che chi ha concepito il Vaticano II come un evento sovversivo rivaleggiasse con sant’Alfonso nella pietà e con san Tommaso nella dottrina, dimostriamo un’ingenuità che non può essere riconciliata con il precetto evangelico, e anzi rasenta, se non la connivenza, certamente l’incuria. Ovviamente non mi riferisco alla maggioranza dei Padri conciliari, che erano certamente animati da intenzioni pie e sante; Parlo invece dei protagonisti del Concilio-evento, dei cosiddetti teologi che fino al Vaticano II erano limitati dalle censure canoniche e non potevano insegnare, e che proprio per questo furono scelti e promossi e aiutati, cosicché le loro credenziali di eterodossia divennero per loro motivo di merito, mentre l’indiscussa ortodossia del cardinale Ottaviani e dei suoi collaboratori del Sant’Uffizio furono motivo sufficiente per consegnare alle fiamme lo schema preparatorio del Concilio, con il consenso di Giovanni XXIII.
Dubito che nei confronti di mons. Bugnini – per citare un solo nome – un atteggiamento di prudente sospetto sia censurabile o carente di Carità. Al contrario: la disonestà dell’autore del Novus Ordo nel perseguire i suoi scopi, la sua adesione alla Massoneria e le sue stesse ammissioni nei suoi diari dati alla Stampa dimostrano che le misure prese da Paolo VI nei suoi confronti furono fin troppo indulgenti e inefficaci, poiché tutto ciò che fece nelle Commissioni conciliari e nella Congregazione dei Riti rimase intatto e, nonostante ciò, divenne parte integrante degli Acta Concilii e delle relative riforme. Così l’ermeneutica del sospetto è ben accetta se serve a dimostrare che ci sono valide ragioni per il sospetto e che questi sospetti spesso si concretizzano nella certezza di una frode intenzionale.
Torniamo ora al Vaticano II, per dimostrare la trappola in cui sono caduti i buoni Pastori, indotti in errore insieme al loro gregge da un’astutissima opera di inganno da parte di persone notoriamente infettate dal modernismo e non raramente anche ingannate nella loro stessa condotta morale. Come ho scritto sopra, la truffa consiste nel ricorrere a un Concilio come contenitore di una manovra sovversiva, e nell’utilizzare l’autorità della Chiesa per imporre la rivoluzione dottrinale, morale, liturgica e spirituale che è ontologicamente contraria allo scopo per cui il Concilio è stato chiamato e la sua autorità magisteriale è stata esercitata. Ripeto: l’etichetta “Concilio” apposta sulla confezione non ne riflette il contenuto.
Abbiamo assistito a un nuovo e diverso modo di intendere le stesse parole del lessico cattolico: l’espressione “concilio ecumenico” data al Concilio di Trento non coincide con il significato dato dai fautori del Vaticano II, per i quali il termine “concilio” allude alla “conciliazione” e il termine “ecumenico” al dialogo interreligioso. Lo “spirito del Concilio” è lo “spirito della conciliazione, del compromesso”, così come l’assemblea è stata una solenne e pubblica attestazione di dialogo conciliante con il mondo, per la prima volta nella storia della Chiesa.
Scriveva Bugnini: “Dobbiamo togliere dalle nostre preghiere cattoliche e dalla liturgia cattolica tutto ciò che potrebbe essere l’ombra di un ostacolo per i nostri fratelli separati, i protestanti” (cfr. L’Osservatore Romano, 19 marzo 1965). Da queste parole si comprende che l’intento della riforma, che fu il frutto della mens conciliare, fu quello di ridurre l’annuncio della Verità cattolica per non offendere gli eretici: ed è esattamente ciò che fu fatto, non solo nella Santa Messa – orribilmente sfigurata in nome dell’ecumenismo – ma anche nell’esposizione del dogma nei documenti di contenuto dottrinale; l’uso del subsistit in è un esempio molto chiaro.
Forse sarà possibile discutere i motivi che possono aver portato a questo evento unico, così gravido di conseguenze per la Chiesa; ma non possiamo più negare l’evidenza e fingere che il Vaticano II non fosse qualcosa di qualitativamente diverso dal Vaticano I, nonostante i numerosi sforzi eroici e documentati, anche da parte della massima autorità, per interpretarlo forzatamente come un normale Concilio ecumenico. Chiunque abbia buon senso può vedere che è un’assurdità voler interpretare un Concilio, poiché è e deve essere una norma chiara e inequivocabile della Fede e della morale. In secondo luogo, se un atto magisteriale solleva argomenti seri e ragionati che possono mancare di coerenza dottrinale con gli atti magisteriali che lo hanno preceduto, è evidente che la condanna di un solo punto eterodosso scredita comunque l’intero documento. Se a questo si aggiunge il fatto che gli errori formulati o lasciati obliquamente da comprendere tra le righe non si limitano a uno o due casi, e che gli errori affermati corrispondono invece a un’enorme massa di verità non confermate, ci si può chiedere se sia giusto espungere l’ultima assemblea dal catalogo dei Concili canonici. La sentenza sarà emessa dalla storia e dal sensus fidei del popolo cristiano prima ancora che da un documento ufficiale. L’albero è giudicato dai suoi frutti, e non basta parlare di primavera conciliare per nascondere il rigido inverno che attanaglia la Chiesa; né inventare preti sposati e diaconesse per rimediare al crollo delle vocazioni; né adattare il Vangelo alla mentalità moderna per ottenere più consenso. La vita cristiana è una milizia, non una bella gita in campagna, e questo è tanto più vero per la vita sacerdotale.
Concludo con una richiesta a chi interviene proficuamente nel dibattito sul Concilio: Vorrei che cercassimo innanzitutto di proclamare a tutti gli uomini la Verità salvifica, perché da essa dipende la loro e la nostra salvezza eterna; e che ci preoccupassimo solo secondariamente delle implicazioni canoniche e giuridiche sollevate dal Vaticano II: anatema sit o damnatio memoriae, cambia poco. Se davvero il Concilio non ha cambiato nulla della nostra Fede, allora riprendiamo il Catechismo di san Pio X, torniamo al Messale di san Pio V, rimaniamo davanti al Tabernacolo, non abbandoniamo il Confessionale, e pratichiamo la penitenza e la mortificazione con spirito di riparazione. Da qui scaturisce l’eterna giovinezza dello Spirito. E soprattutto: facciamolo in modo che le nostre opere diano una testimonianza solida e coerente di ciò che predichiamo.
+ Carlo Maria Viganò, Archbishop
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