di Aurelio Porfiri
Dicevo in precedenza di come il problema sistemico all’interno della Chiesa Cattolica alimenta il clericalismo.
Procediamo con ordine.
Tempo fa ho letto che il Papa, forse non questo ma un altro, diceva basta nel vedere la Chiesa Cattolica strapazzata dai media. Certamente è condivisibile la sua amarezza e il suo dolore nel vedere la Santa Madre Chiesa esposta al ludibrio di tutti. Ho sentito alcune interpretazioni clericali, per cui questo significa stare bene attenti alle informazioni che escono e che vengono esposte alla pubblica considerazione ed uso.
Io non credo il senso fosse questo; io credo che il senso fosse leggermente diverso, basta a comportamenti che poi causano scandalo nella comunità. Certo, alcuni diranno, ma alcune cose sono anche montate ed esagerate. Certo, ma ricordiamo che questa non è giustificazione, questo è un ulteriore sintomo: proprio perché la situazione è così grave, attira anche le attenzioni dei tanti malevoli.
Non nascondiamoci dietro un dito, il degrado morale nel clero non è un’invenzione giornalistica, purtroppo i sacerdoti (e vescovi e cardinali) sono prodotti di un cattolicesimo “debole”, in cui la formazione a tutti i livelli non è stata solida, ortodossa, consistente, ma si è nutrita di psicologismi e sociologismi vari.
Come voglio ripetere, anche tanti sacerdoti sono scandalizzati dal clericalismo soffocante in cui ancora si vive, malgrado ci era stato detto che dopo il Concilio un nuovo vento sarebbe soffiato nella Chiesa, un vento che però non è potuto penetrare in alcune stanze affrescate dove forse si tengono le finestre chiuse.
Abbiamo visto che le vocazioni sono in calo, sempre meno giovani si vogliono fare sacerdoti. Quindi, questo crea uno stato di necessità enorme nelle parrocchie e in alcuni paesi, compreso il nostro, che già devono fronteggiare questo stato di emergenza, c’è la parrocchia ma non c’è un prete disponibile.
Anche in Italia, come detto, la situazione non è proprio rosea a quanto so, ma se avete la fortuna di aggirarvi per alcune curie, vedete che ci sono sacerdoti occupati nei più svariati uffici a tempo pieno o alcuni che devono attendere ad incombenze come: essere segretari di vescovi o portaborse di queste o quella dignità ecclesiastica. Ora mi chiedo: non ci sono laici che potrebbero svolgere ugualmente bene questi servizi (negli Stati Uniti in molte diocesi questi servizi sono ad appannaggio dei laici) e lasciare ai sacerdoti di ogni ordine e grado la cura delle anime? Sembra uno scenario futuristico?
Il vescovo di Venezia, Monsignor Moraglia, nel primo discorso che aveva svolto per ai suoi preti lo aveva detto meglio di quello che potrei dirlo io:
“Amiamo più le nostre reti e le nostre barche che non il pescare, la fatica e l’impegno della pesca. Fuori di metafora, si rischia di amare più le opere, i titoli accademici, le nostre pubblicazioni, le strutture che abbiamo costituito e ci circondano e servono alla nostra attività pastorale che non il fine per cui quelle cose sono state costituite, ossia le anime. Il rischio è essere organizzatori, impresari, docenti, intellettuali, psicologi, assistenti sociali e non pastori”.
E quante altre professioni, sono sicuro, vengono alla mente di tutti, in cui il sacerdote non è essenzialmente necessario ma che pure sono fuori della portata anche di laici preparati (non di rado, più preparati). Quindi il problema della mancanza di vocazioni potrebbe essere meno “problematico” se le risorse che si hanno venissero usate dove servono e non dove non sono fondamentalmente necessarie. Ma, come detto, il clericalismo trionfante non concede che questo accada.
Questo è senz’altro uno dei sintomi più forti di questo malessere, un sintomo che purtroppo non troppo spesso viene denunciato all’attenzione e considerazione della comunità dei credenti.
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