Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
(Anno C)
(1Sam 1,20-22.24-28; Sal 83; 1Gv 3,1-2.21-24; Lc 2,41-52)
di Alberto Strumia
Quest’anno la coincidenza delle date fa sì che la festa di S. Stefano, il primo martire, ceda il posto alla festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, unendosi ad essa nel rendere piena testimonianza a Cristo.
– Il versetto dell’Alleluia sembra contenere, come in un “cassetto discreto”, dove si ripongono le cose che stanno più a cuore, la “chiave” che apre il luogo che contiene il segreto per mettere in salvo ogni essere umano, l’umanità intera, solo che se ne accorga e voglia seguire la strada che viene indicata: «Apri, Signore, il nostro cuore e accoglieremo le parole del Figlio tuo». Infatti, il problema dell’umanità di oggi è la chiusura della mente e del cuore, di fronte all’evidenza della sua condizione, di fronte all’evidenza del suo bisogno di ritrovare quel Dio Creatore che ha perso di vista nel corso del viaggio dell’esistenza.
– Nel Vangelo, che parla dello smarrimento di Gesù nel viaggio di ritorno da Gerusalemme, sembra esserci un’allusione allo smarrimento che è avvenuto ai nostri giorni. = Una profezia? La famiglia di oggi ha smarrito il suo riferimento a Dio, e perfino anche nelle famiglie fondate sul matrimonio, Sacramento cristiano, si è perso di vista Gesù Cristo, rimasto nel tempio, nel tabernacolo della chiesa, rimasto lì dal giorno della celebrazione del Matrimonio. Sembra quasi che, in questa scena del Vangelo, Maria e Giuseppe siano stati chiamati – per una misteriosa obbedienza al Dio della storia – ad essere un “segno profetico” di quanto sarebbe avvenuto secoli e secoli dopo di loro, in quel «senza che i genitori se ne accorgessero». Vogliamo sperare che, come loro ad un certo momento, dopo «una giornata di viaggio», si accorsero che Gesù non era più con loro, così anche quanti oggi si mettono a vivere insieme, ad un certo momento, si accorgano di ciò che loro è venuto a mancare lungo il percorso. Se non altro per quella nostalgia del bene che porta l’amarezza, quando non la disperazione («angosciati ti cercavamo»).
= Il ritorno al Tempio («lo trovarono nel Tempio»). Ma l’umanità di oggi, se anche facesse la fatica di ritornare nel Tempio che oggi è la Chiesa, riuscirebbe ancora a trovarlo? Anche Maria e Giuseppe – ancora investiti di un “ruolo profetico” nei confronti dei nostri tempi – dovettero fare una notevole fatica per ritrovarlo («non avendolo trovato, tornarono in cerca di Lui a Gerusalemme»), con il disagio dello spostarsi in carovana con i parenti e i conoscenti. Dopo un giorno di viaggio quanti chilometri potevano avere già fatto del lungo percorso (circa centocinquanta chilometri) che separa Gerusalemme da Nazaret?
= Ritrovare Gesù Cristo («Lo trovarono nel Tempio), seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava»). Quell’umanità che oggi riconosce a Cristo, al più un ruolo relegato nell’infanzia dell’umanità – il lontano tempo nel quale si aveva ancora bisogno della fede e del cristianesimo – e non lo considera più capace di interloquire seriamente con la scienza e la cultura moderna, post-moderna e odierna. Quando sarà in grado di accorgersi che Egli è l’unico rimasto in grado di destare «stupore per la sua intelligenza e le sue risposte»? Dove trovare una concezione della persona umana e della società paragonabili con il cristianesimo? Neppure il fallimento, ai nostri giorni più che tangibile di una famiglia e di un mondo che lo ha perduto per strada riesce a fare interrogare questa umanità inebetita?
Profeticamente, come un segno per noi e per il nostro mondo, Maria e Giuseppe «al vederlo restarono stupiti». E noi credenti, come loro, gli domandiamo: «perché ci hai fatto questo?». Perché hai permesso che l’umanità dei nostri secoli recenti, dei nostri ultimi anni, compresi tanti tra i tuoi seguaci, rimanesse distante da Te, senza accorgersi delle conseguenze disastrose che ne sono seguite, per i singoli e soprattutto per la famiglia e, di conseguenza, per la società intera?
= Le cose del Padre. «Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che Io devo occuparmi delle cose del Padre Mio?”». In questa risposta di Gesù c’è ben altro che un atto di ribellione adolescenziale come quelli che si trovano normalmente nei ragazzi di quell’età! Anche in questa risposta si trova una “profezia” per l’umanità di oggi. Che cosa significa per noi ricordarci delle cose del Padre? Se per il Figlio di Dio il Padre è una cosa sola con Lui («Io e il Padre siamo una cosa sola», Gv 10,30), per noi, a differenza che per Lui, il Padre è “Dio Creatore”. Per l’uomo di oggi ritornare al Tempio per occuparsi delle cose del Padre, significa lasciarsi riaccompagnare dalla concezione cristiana dell’essere umano e del cosmo a riprendere il “giusto rapporto” con Dio Creatore. La “rottura della giustizia” tra l’uomo e Dio Creatore (che nella dottrina della Chiesa si chiama “peccato originale”, al quale seguono i “peccati attuali” di ognuno) ha portato con sé conseguenze via via sempre più disastrose per l’umanità. Le vediamo con i nostri occhi:
- una concezione dell’uomo e della donna che, pretendendo di essere i legislatori assoluti di tutto, ha portato a distruggere anche il loro rapporto affettivo e fisico, fino all’incomunicabilità tra loro e con i figli, giunta oggi fino a spingersi ad uccidersi in casa;
- una concezione dello Stato che rende “legge” questa pretesa di arbitrario possesso della vita dell’essere umano, nelle forme più contrarie alla sua originaria natura;
- una concezione della cultura e della società talmente priva di verità e regole riconoscibili come “oggettive” (è il relativismo) che finisce per imporre con la forza del potere delle regole che rendono tutti ancora più schiavi.
= Non comprendere ancora l’insegnamento della realtà dei fatti. Nella considerazione dell’evangelista Giovanni, «ma essi non compresero ciò che aveva detto loro», sembra poter riconoscere ancora una profezia sull’umanità di oggi, che include anche molti uomini e donne di Chiesa. Persone che, anche quando sono nel Tempio, sembrano non afferrare nulla della dottrina di Cristo – a differenza dei dottori di allora che «erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte» – e, addirittura pensano di doverla cambiare, per adattarla agli arbitri di un’umanità che sta facendo solo del male a sé stessa.
Satana è il vero regista di tutto questo, come lo è stato fino dalle “origini” (per questo l’errore che egli ha indotto gli uomini a commettere si chiama “peccato originale”). Maria, che dal peccato originale era stata preservata, si accorse che Gesù non era con loro; e con lei Giuseppe, suo sposo, che beneficiava, meritoriamente, della Grazia che gli veniva dal volerle esserle vicino in tutto. Ci riconosciamo almeno un po’ anche noi in questa volontà di Giuseppe di volerle essere vicino, raccomandandoci con un atto di consacrazione quotidiano alla Madre di Dio. A loro chiediamo per l’umanità e la Chiesa dei nostri giorni, di tornare presto al Tempio, per ascoltare e imparare di nuovo, dal Suo insegnamento, a vivere il viaggio del ritorno alla vita quotidiana, nella quale vuole essere «sottomesso» anche a noi, alla nostra libertà di riconoscerlo presente nell’Eucaristia, di pregarlo, di ricevere la Sua Grazia nella frequentazione attenta e metodica dei Sacramenti, nella fedele osservanza dei Comandamenti, nella vigilante attesa della Sua seconda finale venuta.
Bologna, 26 dicembre 2021
Alberto Strumia, sacerdote, teologo, già docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari. È direttore del sito albertostrumia.it
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