dottor Nowzaradan (Instagram)
dottor Nowzaradan (Instagram)

 

 

di Giovanna Ognibeni

 

Complice il forzato rimbambimento, indottoci dai nostri benevoli governanti con tutti i variopinti lockdown, mi sono guardata un programma per soli adulti, “Vite al limite”, trasmesso da un canale specializzato nella proposta di contenuti inutili o dannosi, o tutte due insieme, appartenenti al genere che potremmo definire  Barnum Style. C’è un fondo porno- trash in ognuno di noi, che cerca di emergere dalle nebbie dell’Es, alla prima occasione, spingendoci a guardare le vite di poveri infelici, e più strani sono meglio è per noi. Forse che si va a guardare l’estiva onnipresente mostra sulla tortura-per comprendere il passato, come dice la pubblicità? Certo che no.

A latere, una piccola glossa: dovremmo qualche volta riflettere sui tempi passati quando, in assenza di comodità e di facilitazioni nel vivere, c’era gente che entro i trenta, quarant’anni conquistava imperi, e li perdeva talvolta, scriveva vagonate di libri (senza il computer), costruiva cattedrali. Forse agivano in tal modo per nevrosi, poiché non avendo la televisione, non riuscivano a perdere tutto il tempo che perdiamo noi perché non sappiamo cosa fare (Non parlo per me, al più avrei letto tutti i libri che ho comprato o almeno riordinato le ricette di cucina).

Parlo dunque di questo programma, perché prodotto negli Stati Uniti e quindi milioni di metri cubi d’oceano frapposti mi pongono al sicuro da accuse e recriminazioni, e perché mi dà l’occasione di proporre una piccola parabola. E’ un programma sui superciccioni d’America: per parteciparvi bisogna pesare rigorosamente più di 250 Kg, e una piccola didascalia su fondo nero ci avverte che meno del 5% dei partecipanti mantiene l’obiettivo di conservare il dimagrimento ottenuto con la dieta e le resezioni gastriche in orizzontale o verticale, del mitico Dr. Nowzaradan.

Lo schema è così articolato: il nostro o nostra superobeso/a tipo è mostrato in tutto il suo fulgore, una specie di oloturia umana che si trascina a stento in casa, quando ancora riesce a farlo, una specie di massa informe, come se l’addome si fosse espanso fagocitando e cancellando le altre parti del corpo, gambe e braccia appaiono come restringimenti, ulteriori deformazioni dell’indistinta massa corporea che ha il suo epicentro nell’ombelico (che nessuno riuscirebbe più a vedere). Spuntano sotto gambe elefantiache due piedi normali, resi ridicolmente piccoli nel confronto, e dall’altro lato una testa anch’essa normale con una bocca che si spalanca non solo per mangiare quantità inumane di junk food, ma anche per parlare- e quanto parlare!- probabilmente per contratto. Mentre mangia con feroce voracità racconta la sua vita, le cui coordinate sono molto simili tra loro: famiglie sfasciate, a varianti multiple, uso di droghe e alcool nei genitori, traumi, tentativi e fallimenti, fallimenti e tentativi, figli più o meno casuali.

Poi, sempre mentre ingurgita tripli hamburger con sette porzioni di patatine ed alette di pollo, ci e si riversa addosso lamentele su tutti i colpevoli del suo stato, pentimenti sulle proprie debolezze, del tipo ”come ho fatto a ridurmi così?”( guardarsi in una vetrina, magari?), e titanici propositi di riprendersi la propria vita per i propri figli. Sulla parte catartica e construens del racconto dirò poco: seguiamo i nostri eroi nel movimento pendolare tra momenti di autocoscienza al contrario, non capiscono infatti perché invece di dimagrire dei 25 kg prescritti ne abbiano persi solo 4, quando hanno fatto del loro meglio, ed eccessi di autoesaltazione quando hanno quasi centrato l’obiettivo, al grido di “sono fiero di me”.

Non sono solo vite al limite ma soprattutto corpi al limite, quali in Italia non è dato vederne, probabilmente perché qui mangiamo stratosfericamente meglio rispetto al cibo disponibile alle classi popolari statunitensi; mangiano m…ale ed il loro gusto è così corrotto, così depravato che non concepiscono altro cibo che non sia l’ammasso nel loro piatto, talvolta terribilmente evocativo di una strada all’alba dopo la notte del sabato sera. Particolare non trascurabile, quasi mai a tavola, quasi sempre accovacciati nelle loro poltrone come il resto della famiglia, un branco sistemato ferinamente con il proprio piatto in mano.

Lo spettacolo offerto, bisogna dirlo senza riguardi umani, è raccapricciante, peggiore anche del ritratto che Dante nel Canto XXX dell’Inferno fa di Mastro Adamo, già messo al rogo come falsario:” Io vidi un fatto a guisa di leuto/ … La grave idropesì, che si dispaia/ le membra…che’l viso non risponde a la ventraia”(v.49-51). Quando lo leggevo al liceo pensavo ad un’esagerazione nel contesto infernale della rappresentazione, ma corpi che ho descritto, persa quasi la forma umana, e con la grottesca sproporzione tra testa piedi e la “ventraia” simili al liuto dantesco si possono vedere in Tv, inglobati, soffocati dentro una massa di carne, enfiagioni, edemi piaghe cutanee, e sacche pendule di grasso malato.  

Se poi qualcuno vuol dar prova di un occhio politically correct s’accomodi, ma non credo d’essere l’unica ad essere inorridita; del resto se uno frequenta il circo Barnum televisivo, in genere non è per fare uno studio antropologico.

Quando assisto allo show, unita al fascino macabro sorge in me una forte irritazione verso quegli sciagurati (quando si incomincia a dialogare con chi è dentro lo schermo, è un segno preoccupante e ineludibile di senilità), e poi rifletto su me stessa, di tutte le volte che mi dico che è da cretini sprecare il tempo con i solitari, prima di farne altri sette, otto. Siamo rigorosi verso i vizi che non abbiamo.

Allora, perché ne parlo? Per una folgorazione improvvisa, avvenutami mentre sconsolata guardavo il desolante spettacolo ed ascoltavo l’insopportabile lagna auto assolutoria. Mi sono accorta che quello era lo spettacolo che ad una vista spirituale offrirebbero, offrono le nostre anime.

E per fortuna Dio ha una misericordia infinitamente più grande della nostra: ognuno con libera coscienza valuti in quale range di peso lo collochino i suoi peccati, ma credo che pochissimi risulterebbero solo moderatamente sovrappeso. I nostri vizi, invidia, superbia, avarizia, “ il puntare il dito”, la sordida concupiscenza, il freddo rancore ci appaiono leggeri quando non divertenti, arguti, di classe, in fondo in fondo spiritosi, ben celati sotto un’apparenza glamour, in qualche modo scanzonata. Esiste un programma della stessa emittente intitolato Alta Infedeltà, perché di queste cose bisogna saper parlare con ironia.

Se voleste seguirmi in questo attacco di misticismo alla Jacopone da Todi, ripercorreremmo le cose che ho descritto sopra: vite già in pericolo in partenza in famiglie malate (si può ancora dirlo prima che vengano rubricate come forme alternative, più libere, family is family?); corpi nutriti con cibi tossici ma pieni di chimica perché non si riesca a farne a meno. Come le nostre anime. Poi l’assuefazione lenta ma sempre più dominante, la stessa che produce stupore e sconcerto al momento del tardivo e parziale risveglio. Dante l’ha espressa in forma più cool nei primi versi della Divina Commedia:” Io non so ben ridir com’i v’entrai/ tant’era pien di sonno a quel punto/ che la verace via abbandonai” (Inferno, Canto I, vv.10-12).

Ed infine lo sfiancante dipanarsi della voce narrante dei protagonisti, in uno schizofrenico alternarsi, direi altelenantesi di pentimento ed autoassoluzione fino al bivio in cui, dopo molte inversioni ad U e sensi vietati imboccati, pur tuttavia alcuni prendono consapevolezza dell’impossibile coesistenza dell’abbandono al piacere e della salute fisica, altri persistono invece nell’equivoco fondamentale (molto americano) che basti desiderare una cosa per ottenerla.

E qui il valore di parabola del racconto diviene quasi smagliante, perché è evidente a tutti, anche al più ideologico tra i sostenitori del liberissimo arbitrio, che così facendo i nostri eroi agiscono in uno stato di coazione, di vera e propria costrizione interiore; la libertà sarebbe riuscire a fare ciò che è necessario a raggiungere la salute ed evitare comunque una morte imminente.

Libertà sarebbe riprendere il dominio su sé stessi, sui propri istinti e sulle proprie voglie, ma inspiegabilmente questo non sembra valere per la vita dello spirito.

In un suo modo peculiare e persino divertente, il programma del Dr. Nowzaradan è una riuscita parafrasi dei manuali di teologia morale medievali: mostra in tutta la loro crudezza le brutture, le piaghe, gli osceni edemi, lo stravolgimento della normale conformazione di un corpo umano, e poi la vanità delle menzogne, -“Essi però lo adulavano con la bocca,/ e gli mentivano con la lingua” (salmo 78),  delle auto giustificazioni –“Nel cuore dell’empio parla il peccato,…poiché egli si illude con se stesso/ nel ricercare la sua colpa e detestarla”(salmo35), e infine la fondamentale verità che non siamo buoni giudici di noi stessi e di ciò che è buono per noi. Infine il richiamo ad un giudizio diverso dal nostro:”La bilancia non mente”.

Due le constatazioni immediatamente trasferibili nel contesto spirituale: la prima, che abbiamo a che fare con una volontà piagata dal peccato originale, contorta e distorta verso il basso e quindi incapace di agire naturaliter bene e la seconda, che il punto di svolta è la detestazione del male. Tutto il resto sono chiacchiere e distintivo.

Nel deserto delle esistenze emergono qua e là, come solitari denti di leone in una discarica la vicinanza e l’affetto di una famiglia o di amici a dirci che la speranza è sempre e solo in ciò che Le Confessioni di Sant’Agostino così esprimono ”Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in Te”.

Che sia l’insaziabilità del nostro ventre o la ricerca spasmodica di cose, soldi potere – “quell’avarizia insaziabile che è idolatria” – come la chiama San Paolo, Vite al Limite è un magnifico Tableau vivant della condizione umana.

 

 

N.d.A. Ogni autore ha la comprensibile vanità di credere nell’intelligenza dei suoi lettori; perciò chi scrive ritiene che non vi sia necessità di esplicitare le proprie posizioni su molte questioni sensibili, come i cosiddetti stili di vita.

Se sono sembrata troppo feroce, è anche vero che i protagonisti si sono offerti liberamente alle telecamere, magari con ottime ragioni. Ognuno di noi rientra, magari solo di sguincio, in una categoria per qualche aspetto criticabile o comica. Un aneddoto: per qualche tempo sono appartenuta alla categoria dei docenti ed anzi avrei voluto svolgere quella professione, ciò non mi impedisce di ricordare il giorno molto lontano in cui, rientrata a casa dal parrucchiere che mi aveva fatto una discreta “cofana”, mi sentii dire da un mio figlio allora decenne, detto la bocca della verità e che perciò le prendeva su da tutti, “sembri la mia insegnante”. Mi offesi moltissimo.

 


 

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