Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Phil Lawler, pubblicato su Catholic Culture, sulla noto articolo scritto dal vescovo Paprocki, pubblicato su First Things, in cui parla genericamente di un cardinale eretico, citando però frasi riprese da un articolo scritto dal card. McElroy sulla rivista America. Eccolo nella mia traduzione. 

Mons.-Paprocki (vescovo - a sinistra) e Sua Eccellenza McElroy (cardinale, a destra)
Mons. Paprocki (vescovo – a sinistra) e Sua Eccellenza McElroy (cardinale, a destra)

 

Dal mio punto di vista personale, lo straordinario saggio di First Things di questa settimana del vescovo Paprocki è facilmente la notizia più importante di questo giovane anno: uno sviluppo che ho atteso con ansia per anni.

Per troppo tempo i nostri vescovi hanno sorvolato sulle loro divergenze, lasciando che la confusione e la costernazione si alimentassero tra i fedeli, al fine di preservare una facciata di unità episcopale. Ora, finalmente, un vescovo americano ha chiamato in causa un altro vescovo (un cardinale, in realtà).

Monsignor Paprocki non accusa il cardinale Robert McElroy di eresia. Ma cita testualmente l’articolo oltraggioso del cardinale in America (magazine dei gesuiti americani, ndr) e si chiede come queste affermazioni possano essere conciliate con la dottrina cattolica. L’imputazione di eresia non è una cosa leggera. Questa è una sfida inequivocabile: non solo al cardinale McElroy, ma a tutti gli altri vescovi, in particolare nella gerarchia americana. Il vescovo Paprocki ha posto la domanda: È accettabile questo tipo di dichiarazione episcopale? La Chiesa universale può tollerare un così aperto invito al dissenso?

Riconoscendo che tutti i vescovi hanno la solenne responsabilità di salvaguardare l’integrità della fede, il vescovo Paprocki fa la sua parte. Così facendo, sfida tutti i suoi fratelli vescovi a unirsi alla lotta per preservare la nostra fede.

Come ha spiegato il vescovo Paprocki nell’intervista con The Pillar: “Penso che il motivo per cui l’ho fatto è che questo dibattito è diventato così pubblico che sembra aver superato il punto in cui si trattava solo di conversazioni private tra vescovi”. È vero. Una seria conversazione pubblica sui limiti del dissenso è attesa da tempo.

 

Perché scrivo

Negli ultimi 20 anni, nel mio lavoro mi sono sforzato di risvegliare i cattolici su una crisi della nostra Chiesa: una crisi di fede. Quando è esploso lo scandalo degli abusi sessuali, ho scritto in Faithful Departed che il comportamento criminale di alcuni sacerdoti e l’imperdonabile negligenza di molti vescovi erano segni di una crisi di fede più profonda. (A metà degli anni Novanta, avevo previsto che lo scandalo avrebbe provocato la crisi più grave per la Chiesa dai tempi della Riforma. Ho notato con interesse che questa settimana il cardinale Walter Kasper ha detto essenzialmente la stessa cosa).

La causa fondamentale della crisi più profonda, come ho cercato di spiegare, è l’incapacità di molti cattolici, compresi i pastori della Chiesa, di far corrispondere le loro azioni alle convinzioni che professano. O forse, cosa più preoccupante, è una questione di semplice ipocrisia: troppi cattolici semplicemente non credono alle parole che recitano nel Credo niceno? Negli ultimi anni, come ho spiegato in Contagious Faith, sono rimasto stupito e costernato dalla volontà dei leader della Chiesa di chiudere le chiese – e di negare i sacramenti ai fedeli – nell’apparente convinzione che la salute dei nostri corpi sia più importante della salute delle nostre anime.

Se i nostri pastori sono riluttanti a prendere posizioni ferme, c’è da stupirsi che il gregge sia stato disperso e che i lupi siano in libertà? Fu Papa Paolo VI a dire, più di 50 anni fa, che “il fumo di Satana è entrato nel Tempio di Dio”. Ho preso questo terribile avvertimento come titolo di un altro libro, Smoke of Satan, che descrive in dettaglio le prove della nostra crisi e lamenta la mancanza di leadership episcopale.

Oggi politici di spicco sponsorizzano con coraggio leggi che promuovono la distruzione di vite umane innocenti, pur sostenendo di essere cattolici devoti. I chierici incoraggiano i giovani a praticare una sessualità disordinata e denigrano l’istituzione del matrimonio. L’aperto dissenso, la confusione, il disprezzo per il perenne insegnamento della Chiesa non provengono solo dai margini, ma (come ho scritto in Lost Shepherd) ora anche dalla Santa Sede.

 

Segni dei tempi

Ma forse c’è una benedizione che è venuta dal tumulto dell’ultimo decennio nel cattolicesimo. È più facile leggere i segni dei tempi. Molti più cattolici si sono resi conto della gravità della crisi della nostra Chiesa. Molti sono arrabbiati, molti sono scoraggiati e, purtroppo, molti se ne sono andati. Ma tra coloro che restano, c’è una maggiore volontà di prendere posizioni ferme, di fare sacrifici, di sfidare le ideologie secolari, di sostenere le tradizioni cattoliche.

Monsignor Paprocki ha ragione: non ha senso fingere che tutti i cattolici – o anche tutti i vescovi cattolici – siano fondamentalmente d’accordo. Ci sono seri disaccordi tra di noi, che devono essere affrontati. I laici cattolici seri sanno che siamo nel mezzo di una battaglia: una lotta per il futuro della Chiesa. Siamo pronti, ansiosi, impazienti di unirci alla battaglia. Ma le truppe laiche non possono impegnarsi efficacemente senza i loro pastori.

Troppo spesso, purtroppo, i migliori dei nostri vescovi hanno evitato il conflitto, consigliando pazienza e tolleranza, sperando di evitare bisticci pubblici. L’unità episcopale è sicuramente una buona cosa e le dispute pubbliche sono indecorose. Ma a quale prezzo i disaccordi evidenti dovrebbero essere messi in sordina? Quando i devoti sono scoraggiati, quando i tiepidi se ne vanno, quando l’integrità della fede è a rischio, il silenzio diventa complicità.

Durante i primi secoli cristiani, le dispute pubbliche non erano affatto rare. La Chiesa crebbe rapidamente in quell’epoca; le controversie non scoraggiarono i convertiti. Anzi, i dibattiti furiosi erano un segno che le persone tenevano alle verità della fede. A quei tempi i dibattiti più accesi riguardavano questioni teologiche; oggi gli argomenti contestati sono gli insegnamenti morali. Ma ancora una volta la salute della Chiesa – per non parlare della salvezza delle anime – richiede chiarezza. I nostri vescovi si preoccupano abbastanza da rompere il loro modello di silenzio?

 

Cosa succederà dopo?

Il vescovo Paprocki ha alzato la voce. Altri lo seguiranno?

Quando il cardinale McElroy ha pubblicato il suo saggio provocatorio in America, una manciata di prelati americani ha risposto rapidamente, rendendo evidente il proprio disaccordo. Nella settimana trascorsa da quando il pezzo del vescovo Paprocki è apparso su First Things, non ci sono state simili repliche da parte di prelati “progressisti”. (Alcuni commentatori cattolici liberali sono intervenuti sui social media, rimproverando a Paprocki di essere “divisivo”, ma senza rispondere alle sue argomentazioni). Forse i liberali ai vertici della Chiesa pensano che se ignorano la sfida di Paprocki, possono relegarlo ai margini del dibattito, dipingendolo come un estremista. Forse hanno ragione.

Non ho dubbi che il vescovo Paprocki abbia riconosciuto questo pericolo prima di inviare il suo pezzo a First Things. Sapeva che sarebbe stato denunciato come divisivo e intollerante. Sapeva di non poter contare sul sostegno di Roma, anzi, il contrario. Tuttavia si è sentito obbligato a parlare.

Non ho dubbi che molti vescovi americani siano contenti del saggio di Paprocki. La questione ora è se si uniranno alla battaglia o se lasceranno il vescovo di Springfield, Illinois, ad affrontare da solo l’inevitabile contraccolpo.

 


Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. Sono ben accolti la discussione qualificata e il dibattito amichevole.


 

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