Caro Sabino,

come tu sai, la poesia in me nasce dal cuore, e la sua madre è sempre o la sofferenza o una profonda gioia. Ma da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, non riesco più a scrivere in versi, la sofferenza della guerra soffoca anche il grido del dolore, e non mi permette di parlare.

 

kiev, cattedrale di San Michele
Kiev, cattedrale di San Michele
 
Lo dirò con questa poesia di Salvatore Quasimodo
 
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?

Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

 

Salvatore Quasimodo

“Alle fronde dei salici’ (1946)
 

La poesia parla di come il poeta ha vissuto durante la Seconda guerra mondiale, paragonando se stesso agli Israeliti che, deportati a Babilonia, si rifiutano di cantare, come recita il Salmo 136:

 
 
“Lungo i fiumi di Babilonia stavam seduti e piangevamo, ripensando a Sion
sui salici d’intorno abbandonammo le nostre cetre”  
 
 
In mezzo a tanta distruzione, morte di proiettili, pena, miseria e odio, fardello di uomini, donne e bambini, la poesia sembra non aver voce. Su tutto pare vincere la morte, a cui nessuna ragione né calcolo possono dare giustificazione, perché 
 
la guerra è sempre Caino contro Abele,
e se Dio non esiste, tutto è permesso:
è la sconfitta dell’uomo e la vittoria del nulla.
 
 
Oggi, pensando a tutto questo, [dolore, rabbia, disinformazione, ingiustizia, speculazione, indifferenza, cinismo, e al nostro ricercare le ragioni dell’una o dell’altra parte] mi è venuto in mente il grande compositore russo Sergej Vasil’evič Rachmaninov, di cui conosco, seppur da dilettante, vita e opere.
 
Un momento decisivo della sua vita fu quando, disilluso dalle false promesse della rivoluzione bolscevica e inorridito dalla sua crudeltà, si trasferì negli Stati Uniti d’America dove visse fino alla morte, pur continuando a cantare la sua patria e la sua cultura, che pure lo aveva messo al bando. Nella sua musica sento un grande dolore, e insieme una grande pace.

 

Questo è il brano n.13 dei Vespri, che fa parte dell’ora prima di Pasqua: 

“Oggi al mondo è apparsa la salvezza.
Cantiamo il risorto dalla tomba, Cristo Dio che dona la vita! 
Distruggendo la morte con la morte ci ha dato misericordia e vittoria”.

 
“Rachmaninov esprime quello che sono io, quello che è l’amico che mi siede accanto, e quello che è l’amica che mi sta di fronte. 
Le sue note, forti e drammatiche, rappresentano il cuore del mangiare e del bere, del ridere e del piangere, e della stanchezza che prende fino a farci dormire. E poi danno pace, ad ogni movimento la resistenza impavida della positività delle cose inesorabilmente vince ogni tremore
La notte del mondo c’è quando in nessuno brilla la luce che illumina, dal profondo del cuore, fin l’ultimo orizzonte degli occhi, nella quale si riverberi la resurrezione finale. 
Ogni giorno siano chiamati a sperimentare questo urto sottile e discreto di resurrezione, uno spunto di luce, una volontà di conoscere, un impeto di bene gratuito, una passione per il bene dell’uomo e per il destino  di tutti”   (don Giussani, Spirto Gentil, Bur, pag 340).
Il brano n.5 dei Vespri, Nunc dimittis, è famoso per la sua bellezza, e per il suo finale in cui i bassi profondi devono cantare una scala discendente che termina con il si bemolle basso. Da ascoltare! Rachmaninov ha voluto che venisse eseguito al suo funerale. 
A renderlo particolarmente significativo in questo momento di guerra in Ucraina è il fatto che è stato da lui scritto nello stile di un canto Kievano, che si sviluppò a Kiev tra il XVI e il XVII secolo. 
“Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, da te preparata davanti a tutti i popoli;
luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”.
 
Il video preso da Youtube, con le cupole dorate che somigliano molto a quelle di Kiev, è particolarmente suggestivo, ma si riferisce a San Pietroburgo. 
 
 

 

Il Padre nostro (Otce nas) della divina liturgia di san Giovanni Crisostomo, concepito a doppio coro come a sottolineare l’universalità della preghiera insegnataci da Gesù, dà l’idea della voce di un popolo che riconosce un unico Padre a cui rivolgere la propria supplica.

 

 

 

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