di Anima Misteriosa
Mentre il nostro Leo riposava sul divano dopo il tampone, rifletteva che in Islanda i campioni prelevati per i test devono essere distrutti dopo l’uso[1]. Di qui, il legittimo interrogativo: ma li distruggeranno sul serio? Oppure che ne fanno?
Questo articolo è una specie di spin-off nato dall’abbondante materiale scaturito dalla chiacchierata con Leo (che, mentre scrivo, è segregato in Islanda in quarantena in una situazione che definire surreale è dire poco, come spero di mostrare ai miei lettori prossimamente). Il tracciamento lascia emergere vari interrogativi, specie sulla gestione dei dati sensibili (o, trattandosi di campioni contenenti DNA, sensibilissimi). La società che se ne occupa è la DeCode Genetics di Kari Stefansson, di cui ho già parlato a lungo[2]. Nata nel 1996, acquisita da Amgen nel 2015 e oggi leader globale nella ricerca sul genoma applicata alla diagnosi e prevenzione delle malattie genetiche, ha al suo attivo numerose, indubbie conquiste scientifiche[3], ma anche varie zone d’ombra. Ora, la storia dell’Islanda è stata profondamente segnata dalla genetica negli ultimi venti anni: è un paese ristretto, con una popolazione limitata e molto omogenea, un vero e proprio paradiso per i genetisti; ma la genetica rientra purtroppo nella possibile distopia del futuro prossimo. Perciò, propongo qui una riflessione sul problema della protezione dei dati genetici, che stanno diventando “oro” per le grandi multinazionali, specie farmaceutiche (sempre loro). La questione, infatti, presenta risvolti piuttosto inquietanti, anche in Italia.
La DeCode e la genetica islandese
Il fondatore della DeCode Genetics, Kari Stefansson, è in patria una celebrità: forse è addirittura più famoso della cantante Björk. Laureatosi in Medicina all’Università d’Islanda, si è specializzato in neurologia e, molto brillante, ha studiato all’estero, all’Università di Chicago, come tanti conterranei obbligati a espatriare dalle esigue possibilità in patria. Dopo avere lavorato nei laboratori di Chicago dal 1983 al 1993, è stato professore di Neurologia, Neuropatologia e Neuroscienze ad Harvard e direttore di Neuropatologia all’ospedale Beth Israel di Boston[4]. Attorno a lui aleggia un’atmosfera poco amichevole: pare che non tolleri differenze di opinioni e, di certo, persegue i propri obiettivi con una tale tenacia da apparire persino aggressivo[5]. Stranamente, proprio lui che ha fondato il più innovativo database genetico al mondo, non ne vuole sapere di sequenziare il proprio DNA:
“Mia madre è morta a 62 anni. Mio padre è morto all’età di 67. Perciò sono stato molto attento a evitare di apprendere alcunché sulla mia propria predisposizione alle malattie” afferma. “Voglio morire ignaro delle mie debolezze”[6].
Nelle immagini da me consultate, sul suo volto severo non si individua mai la benché minima traccia di sorriso.
Sotto un nome diverso, la DeCode è il cuore del romanzo Jar City, di Arnaldur Indriðason (Mýrin, in Islandese), e del film omonimo trattone nel 2006. Il titolo inglese, alla lettera “Città dei barattoli”, fa riferimento alla collezione di reperti anatomici al centro della vicenda; invece, quello islandese, “palude, pantano”, rinvia ai luoghi paludosi intorno a Reykjavik dove è ambientata la vicenda e che assumono un valore simbolico. Il protagonista è il detective Erlandur, scabro come una roccia del paesaggio nordico; in alcune sequenze compare anche Stefansson. Cercherò di non rovinare il finale a chi vorrà leggere il libro o guardare il film[7]: però, se un database genetico è al centro dell’intreccio, si può ben immaginare su che tasti la storia andrà a battere. Su uno sfondo plumbeo, tra pianure desolate, folate di vento e mare in tempesta, si snoda una vicenda che mescola i rigori nordici a motivi degni della tragedia greca (usualmente familiare), con accenti propri di Ingmar Bergman; e non manca il lato più pessimistico del luteranesimo. La genetica rivela così i segreti e peccati del passato, anzi, i geni malati finiscono quasi per identificarsi con essi: implicitamente, l’autore lascia intendere che maneggiare questi segreti, affondati nella parte più intima di noi stessi, può essere devastante. Come vedremo anche in seguito, chi li controlla, ha in mano una vera e propria bomba.
Ma ripartiamo dal programma di tracciamento del virus che l’azienda ha messo in piedi per e con il governo islandese[8].
Il sistema di tracciamento islandese e i conflitti d’interesse
Quando nel febbraio 2020 Kari Stefansson udì l’indice di mortalità altissimo prospettato dall’OMS per il Covid-19 (3,4%), comprese che esso era inaffidabile e non teneva conto, ad esempio, della grande quantità di asintomatici; telefonò allora al quartier generale della Amgen e si offrì di compiere uno studio di tracciamento del nuovo virus. Dalla California gli risposero: For heaven’s sake, do that (“Per amor del cielo, lo faccia!”). Di qui la collaborazione con il Direttorato della Salute islandese e il Landspitali (le cui strutture sono più limitate)[9], con condivisione di idee, dati, spazi laboratoriali e staff[10]. La DeCode ha iniziato i test a tappeto il 13 marzo 2020 mettendo a disposizione dell’ospedale il suo laboratorio, capace di ben 4.000 sequenziamenti del DNA a settimana; riesce a concludere anche 5.000 test al giorno (di solito 2.000) e qualsiasi cittadino sintomatico si può fare testare inoltrando una richiesta online. Poi, riceve un codice a barre, che viene quindi incollato sul suo campione ed è collegato, secondo Leo, al famoso kennitala, il numero identificativo onnipresente nell’esistenza degl’Islandesi (Leo si meraviglia che ancora non lo incidano sulle tombe).
Quindi sono loro che, da quasi due anni, tracciano tutto il tracciabile e inseguono il virus anche nei più remoti angoli della pianura islandese; sono loro che, sistematicamente, praticano i tamponi all’unico posto di frontiera del paese, l’aeroporto, all’arrivo, quindi una seconda volta dopo 5 giorni di quarantena (come sta succedendo adesso al nostro Leo, che, tra l’altro, aveva già fatto un tampone qui in Italia). Tutti i giorni, per i laboratori della DeCode, passano migliaia di campioni da analizzare, contenenti il materiale genetico di residenti in Islanda e turisti: una marea di test già agl’inizi di gran lunga superiore che in altri paesi[11] e che ha permesso numerosi approfondimenti, regolarmente pubblicati.
I ricercatori della DeCode hanno studiato così le varianti e la loro diffusione, la percentuale degli asintomatici (fissata al 43%), la ridotta possibilità di ammalarsi dei bambini (sotto i 10 anni la metà di quelli al di sopra), la caratterizzazione dei sintomi (mal di testa, tosse, indolenzimento muscolare e non la febbre). Inoltre, hanno stabilito che gli anticorpi da malattia perdurano nel sangue almeno per 4 mesi e hanno fissato il tasso di mortalità allo 0,3%; infine hanno investigato anche se le persone malate gravemente possono produrre anticorpi autoimmuni[12]. Molto più ridotto l’impiego del sierologico, testato nella primavera 2020 su di un campione di 30.000 persone, di cui solo 5.500 sono risultate dotate di anticorpi[13]. Le altre pubblicazioni affrontano problematiche come le malattie cardiovascolari, la schizofrenia e vari tipi di tumore[14].
In esse la DeCode deve costantemente esplicitare i suoi conflitti di interesse, derivanti soprattutto dal fatto che appartiene alla Amgen[15]. Questa non è una circostanza anodina: già la commistione tra pubblico e privato, con la DeCode che organizza il tracciamento in collaborazione con le strutture pubbliche, condividendo idee, dati, spazi laboratoriali e staff, è problematica[16]. Non è che perché l’Islanda è piccolina e si conoscono tutti, ciò smetta di essere un rischio per la genuinità delle ricerche: come è stato dimostrato dagli studi sulla corruzione indotta nella ricerca scientifica dalle case farmaceutiche, non basta che le metodologie impiegate siano corrette, che i dati grezzi siano genuini, che i mezzi e le strumentazioni a disposizione siano di prim’ordine (il che poi magari non succede): di per sé i finanziamenti provenienti da un’azienda multinazionale farmaceutica creano un bias, cioè una pregiudiziale, una distorsione negli studi. È una sorta di peccato originale di partenza: nei termini del professor Sergio Sismondo, della Queen’s University di Kingston, Ontario:
Quando compagnie farmaceutiche e di altro genere sponsorizzano la ricerca c’è un “bias”, “pregiudizio” – una tendenza sistematica in direzione di risultati che servano ai loro interessi – ma il “bias” non si vede nei fattori formali abitualmente associati alla ricerca scientifica di bassa qualità. L’implicazione è che i fondi stessi delle compagnie dovrebbero essere considerati un fattore standard di “rischio di bias” nelle sperimentazioni cliniche, un fattore quantificabile e persino quantificato, che spinge in direzioni previsibili. I fondi dell’industria farmaceutica influenzano i risultati delle sperimentazioni cliniche[17].
Cioè, se Big Pharma paga, di per sé la ricerca va nella direzione che vogliono. Dovrebbe essere costantemente controllata da istituzioni pubbliche: e la tragedia dell’attuale campagna vaccinale è proprio questa, cioè che i governi e le agenzie regolatorie si sono appiattiti sulle dichiarazioni dei produttori, ormai molto più potenti dei governi stessi, vendendo ai cittadini la pubblicità aziendale come “scienza”. Una menzogna di proporzioni inaudite. E troppi medici lo ignorano pure.
Nella fattispecie, anche se Amgen lascia piuttosto libera la DeCode di organizzare le proprie ricerche[18], bisognerebbe valutare caso per caso se gl’interessi privati della Amgen o della DeCode influenzino la genuinità dei loro risultati. Per esempio, nel 2002, Stefansson e soci affermavano di avere già individuato 20 siti generali per i “geni erranti” di 20 malattie, tra cui Alzheimer, asma, disturbi ansiosi, ipertensione, obesità, Parkinson ecc.; inoltre, entro questi siti avrebbero identificato geni specifici per la schizofrenia e due tipi di ictus. Tuttavia, ricercatori indipendenti non sono poi riusciti a replicare i risultati per un gene associato all’ictus (fosfodiesterasi 4D), confermati invece dalla Roche, con cui DeCode era a contratto ed aveva cominciato a studiare un inibitore specifico[19]. Siamo proprio sicuri che questi risultati fossero al di sopra di ogni sospetto?
Però, nella questione dei dati genetici, la cosa è ancora più preoccupante, come vedremo.
Il (controverso) database sanitario della DeCode e il “problemone” dei dati sanitari
Stefansson racconta di aver avuto per la prima volta l’idea di fondare la DeCode mentre beveva un caffè a Starbucks. Gl’Islandesi discendono da alcune migliaia di colonizzatori vichinghi del IX sec. e dalle schiave celtiche che essi rapirono; la popolazione, già ridotta, fu ulteriormente decimata dall’epidemia di polmonite del 1402, dal vaiolo del 1708 e dalla carestia del 1784. In una popolazione più ampia, un gene può subire molteplici varianti, mentre qui si è verificato l’”effetto del fondatore” (o collo di bottiglia), per cui, a partire dai primi colonizzatori le varianti per ogni gene patologico sono forzatamente poche. Perciò, i geni incriminati sono anche più facili da scovare, laddove i database genetici più grandi (come lo Human Genome Project, finanziato in gran parte dal governo USA con miliardi di dollari) devono spesso battagliare con quantità esorbitanti di dati desunti da una popolazione eterogenea[20].
Cogliendo questa opportunità, Stefansson si proponeva quindi di legare in un unico progetto, il Genealogy Genotype Phenotype Resource, o GGPR, tre database: quello genetico, coi DNA sequenziati, quello genealogico e quello fenotipico. Cioè: ai dati genetici o genotipo devono essere associati quelli sulla nostra vita effettiva, ovvero i risultati di quel DNA: per esempio malattie specifiche (fenotipo). Di qui l’associazione con i dati sanitari. Per la prima volta lui si proponeva di mappare i geni di una nazione intera: con procedimenti di carattere combinatorio, Stefansson avrebbe perciò identificato particolari geni con maggiore rapidità e sicurezza. Tuttavia, il legame tra genotipi e fenotipi, specie per le malattie più comuni, non è una certezza, bensì una questione di maggiore o minore probabilità statistica rispetto alla media della popolazione.
Dato che il suo progetto era troppo oneroso per l’ambito accademico (e difatti il National Institute for Health lo ha rifiutato con scetticismo), Stefansson è andato a caccia di fondi tra i grandi investitori di New York o della California, vendendo la sua idea così: con le sue ricerche, la DeCode avrebbe individuato target più precisi per le medicine in sub-popolazioni specifiche identificate grazie ai loro geni; di qui forme di screening, terapia e prevenzione più personalizzate ed efficaci, cioè la cosiddetta medicina di precisione o personalizzata[21]. Trovati i fondi per 12 milioni di dollari, lo studioso ha fondato la DeCode assieme a Jeffrey Gulcher, registrandola in Delaware (filiale islandese, Islensk Erfdagreining).
Per quanto riguarda il database genealogico, la DeCode possiede probabilmente il più esteso albero genealogico nazionale al mondo, che risale indietro fino al grande censimento del 1703 e, con altri documenti, persino più in là. Nel 2003, l’azienda ne ha pubblicato la versione online, il Libro degl’Islandesi o Íslendingabók, che ha riscosso subito un notevole successo[22]. Nel frattempo, cresceva il database genetico. In sostanza, cosa fanno alla DeCode? Desunti i nomi dei pazienti affetti da una determinata malattia (es. l’asma) dagli archivi clinici, controllano il loro albero genealogico, fino a trovare degli antenati comuni: per esempio, ben 104 pazienti affetti da asma risalivano a un unico avo nato nel 1710. Poi, analizzano le singole sezioni sospette del DNA dove potrebbe trovarsi il gene colpevole: d’altronde, ciò non basta ancora per ottenere le varianti dei singoli geni e molte malattie complesse dovrebbero essere provocate da più geni erranti che lavorano in combinazione; ciò rende pertanto l’identificazione di un gene difettoso piuttosto difficile. Tuttavia, le zone genetiche da analizzare per gl’Islandesi sono più ridotte, proprio grazie all’esteso albero genealogico e a una popolazione più limitata[23]. Ciò implica però anche il possesso di estesi archivi sanitari: raccolte del genere esistevano da decenni in Islanda, ma molto eterogenee (anche semplici appunti su foglietti, oppure campioni sotto alcool); però, fino agli anni ’90, nessuno si preoccupava veramente delle loro implicazioni relative alla privacy[24].
Nel 1997, la DeCode si è offerta di creare un database sanitario unificato nazionale a sue spese, più spese di licenza (70 milioni di corone, cioè ca. 800.000 dollari l’anno), senza contare le tasse e un 6% dei propri profitti da corrispondere al governo. Una proposta analoga del 1975 era stata respinta perché troppo costosa; ma Stefansson ha fatto lobby in maniera piuttosto aggressiva presso l’Althingi, il Parlamento locale, cosicché il 17 dicembre 1998 è passato l’Health Sector Database Act[25], con cui il Ministero della Salute permetteva a un’azienda privata di creare un database sanitario elettronico per 12 anni: di qui, l’Icelandic Health Sector Database, di cui DeCode avrebbe poi goduto la licenza esclusiva[26]. Il governo vi ha visto l’opportunità di creare un database organico nazionale a spese di un privato, generando per di più posti di lavoro per ricercatori locali (di solito costretti a emigrare); perciò ha sostenuto da subito il progetto[27]. Nel frattempo, era in discussione una legge, promulgata poi nel maggio 2000, l’Act on Biobanks (110/2000), che richiedeva il consenso informato del paziente per i campioni raccolti a scopo di ricerca scientifica (ed esso sarebbe stato indispensabile per il database genetico); erano nati anche l’Autorità per la Protezione dei Dati e il Comitato Nazionale di Bioetica[28]. D’altro canto, DeCode ha allora firmato un contratto non esclusivo con l’azienda svizzera Hoffmann-La Roche, per consentirle l’accesso al database genetico allo scopo di studiare le origini di una dozzina di malattie, cosa che ha allarmato più d’uno. In effetti, l’uso da parte di aziende private dei dati personali potrebbe portare a danni non indifferenti, come forme di discriminazione[29].
Invece del consenso informato, per l’IHS la DeCode si avvaleva di un “consenso presunto”: la richiesta esplicita valeva solo per ottenere l’esclusione dei propri dati dal database (il contrario di quel che si fa regolarmente). I dati dovevano essere criptati dall’Autorità per la Protezione dei Dati per non essere decifrabili; ogni infrazione avrebbe portato a multe salatissime e anche alla prigione per 3 anni; infine, i dipendenti dovevano prestare un giuramento di confidenzialità. Secondo la DeCode, tutte queste misure sarebbero state equivalenti al consenso informato: cosa dubbia per i critici, perché nessun sistema criptato sarebbe mai a prova di bomba[30].
Dapprincipio, il Consiglio d’Europa ha considerato le misure prese come ragionevolmente rispettose dei diritti dei singoli e delle convenzioni internazionali[31]. In realtà, la cosa non è così scontata e non c’è multa che tenga: i database erano così dettagliati che gl’individui sarebbero stati identificabili per forza, senza contare che la DeCode avrebbe compiuto i collegamenti trasversali; così, la signora novantenne affetta da asma e guarita da un tumore al seno nel 1995, ricollegabile per di più alla trisnonna Brunilde, avrebbe finito per essere chiaramente identificabile come la zia Adalgisa (difatti, nel film succede proprio questo). Per di più i dati (anche di persone defunte, per cui non sarebbe stata possibile nessuna forma di consenso o dissenso, neanche da parte dei familiari) sarebbero stati raccolti e codificati da 300 trascrittori medici, anch’essi tenuti alla confidenzialità: ma si sarebbero trovati davanti la storia medica di tutto un paese, piccolo per di più, dove tutti sono imparentati e metà degli abitanti vive nella sola capitale; insomma, la privacy sarebbe comunque finita alle ortiche[32]. In conclusione, secondo Bogi Andersen, islandese, ma docente di Medicina all’Università della California: La maniera in cui (Stefansson) ha manipolato le agenzie è fuori dalle regole. Quando DeCode è stata fondata, ha rotto ogni norma bioetica, rincara Michael Malinowski, professore di Legge alla Louisiana State University e specializzato in questioni relative alle biotecnologie. È stato un completo salto mortale rispetto al concetto di consenso informato [33].
Dedico molto spazio a questo dibattito, perché implica valori fondamentali oggi a rischio. Ne nacque una dura polemica, alimentata da una minoranza di medici e intellettuali ostile alla monopolizzazione della scienza in Islanda e preoccupata dalla gestione dei dati sensibili e dalla commercializzazione della ricerca. In effetti, all’epoca la DeCode aveva tanti dipendenti quanti l’Università d’Islanda (414 contro 420 nel 2003); inoltre, dato che l’accesso al database sarebbe stato negato a chi aveva interessi contrari a quelli dell’azienda (e su ciò vigilava un comitato ad hoc), si poteva effettivamente prospettare un dominio incontrastato dell’impresa sulla ricerca, specie genetica, islandese[34].
L’organizzazione Mannvernd, nome che significa più o meno “protezione dell’umanità”, o Associazione Islandese per l’Etica nella Scienza e nella Medicina, promosse una campagna volta a incoraggiare i cittadini a ritirare il loro consenso con un modulo appropriato. Il suo sito è stato chiuso nel 2009, ma ne rimane ancora uno analogo, tenuto dall’Università di Berkeley[35]. Il dibattito fu molto acceso, ma, nonostante che articoli di giornale e programmi televisivi dessero maggioritariamente voce al “no”, il modulo di ritiro del consenso fu firmato solo da 20.426 persone, di contro ai 100.000 volontari circa che parteciparono ai più svariati programmi di ricerca[36]. Non solo: le statistiche annoveravano tra un 75 e un 90% di favorevoli alla legge[37]. In sostanza, la maggioranza della popolazione non aveva compreso il problema. Alla fine, l’IHS naufragò per l’ostruzionismo dei sanitari; oggi l’azienda deve raccogliere i dati necessari alle sue ricerche volta per volta, dopo aver negoziato i diritti di privacy con i singoli enti: scelta forse più economica ed efficace[38].
Un articolo del British Medical Journal mi è stato di grande aiuto per focalizzare le questioni in campo[39]. La DeCode propagandava l’idea che le sue ricerche avrebbero salvato vite umane, ma un database del genere è veramente “necessario” alla salute pubblica – nei termini di necessità per cui la Commissione di Bioetica del Consiglio d’Europa permette la raccolta di dati sensibili senza consenso informato? E poi: qualsiasi ricerca condotta da un ente pubblico potrebbe nuocere agl’interessi privati della DeCode; e quindi, chi potrà accedere al suo IHS? Gl’interessi economici influenzeranno chi fa che cosa, un aspetto questo onnipresente nella ricerca sul genoma. E inoltre: non è che la popolazione islandese viene trattata come un oggetto, a commodity, come scriveva nel 1999 il grande genetista Richard Lewontin, un bene di consumo a disposizione dei ricercatori[40]? E infine: Stefansson e Gulcher hanno difeso l’idea di “consenso largo”, che non implica la stessa informazione dettagliata del consenso informato. In sostanza, ciò lascerebbe larga discrezionalità ai ricercatori nell’uso dei dati, anche perché informare il singolo di tutti gli sviluppi futuri di una ricerca in corso potrebbe risultare veramente arduo, se non impossibile[41]. Ma, nonostante una pletora di enti regolatori (almeno 4, inclusa l’Autorità di Protezione dei Dati e il Comitato Nazionale di Bioetica), proprio perché è impossibile prevedere (e quindi spiegare) tutti gli impieghi futuri possibili di un database del genere, anche in presenza del consenso informato il singolo potrebbe non essere protetto per niente[42].
Non solo: un altro studio, molto dettagliato, dell’Università della Pennsylvania ha indicato un’ulteriore valanga di problemi etici al riguardo, che impensieriscono tanto di più in quanto questi progetti di biobanche si stanno moltiplicando come i funghi. Per esempio: come ne uscirebbe il rapporto di fiducia medico-paziente, se il paziente sapesse che il suo medico può raccogliere i suoi dati personali per un’azienda privata? Di converso, che se ne fa lo Stato di una raccolta parziale, da cui alcuni pazienti (di solito quelli psichiatrici) possano uscire grazie all’opzione del ritiro dei dati? In realtà, per come era concepito, questo database avrebbe servito innanzitutto gl’interessi commerciali della DeCode che quelli pubblici: perciò, il consenso presunto era tutt’altro che etico. La DeCode protestava che un consenso informato sarebbe costato troppo, in termini di tempo e denaro, e che avrebbe finito per creare più problemi che altro; in realtà, essa cercava un’esclusiva il più ampia possibile. Affermano gli studiosi della Pennsylvania:
Non è etico che un governo conceda accesso esclusivo a dati raccolti da un ente pubblico a un’azienda privata per uso commerciale; di più, non è corretto che quei dati pubblici, anche se di valore, vengano sfruttati in modo commerciale a detrimento di valori più importanti[43].
Parecchi potrebbero pensare che queste, tutto sommato, siano questioni di lana caprina: tanto, se io accordo il mio DNA a degli scienziati, che cosa vuoi che succeda? Pare proprio che possa succedere qualcosa di grave. Come si andrà a dimostrare.
A caccia di DNA…per chi?
Anche se nel 1998 le azioni della DeCode andarono a ruba, raggiungendo il prezzo di $65 l’una, tale entusiasmo si afflosciò ben presto: e nel 2008 arrivò la bancarotta, con le azioni che costavano meno di $1 e ben poche medicine messe sul mercato. Bisognava trovare un mezzo per fare profitto.
Naufragato l’IHS, nel corso degli ultimi venti anni la DeCode ha fatto di tutto per incrementare il proprio database genetico, suscitando regolarmente delle polemiche sul rispetto della privacy. Un comunicato stampa del 16 novembre 2007 lanciava il deCODEme™: per $985 era possibile inviare all’impresa un tampone con il proprio materiale cellulare e ricevere in cambio dati sulla propria genealogia, sul proprio genoma e sulle malattie per cui si era a rischio[44]. Qualcosa di simile era allora in produzione presso l’impresa rivale di Linda Avey ed Anne Wojcicki 23andMe[45], finanziata da Google (si noti), dato che la Wojcicki era allora sposata con il cofondatore di Google Sergej Brin (e sua sorella Susan è amministratrice delegata di Youtube – qui si sente forte l’odore della Sylicon Valley). Ovviamente, gli esperti erano preoccupati che gl’individui venissero sopraffatti da notizie difficili da gestire, come quelle su geni portatori di malattie prima a loro ignote: non tutti sanno prendere un argomento del genere cum granu salis. Ma Stefansson, come sempre, ribadiva che non si può sottrarre alle persone la possibilità di conoscersi e che, in ogni caso, ogni decisione su eventuali malattie avrebbe dovuto essere presa dopo accurata consulenza medica. Dopo il lancio di questo prodotto, stranamente, affermava di avere sequenziato il proprio stesso genoma[46], cosa che pochi mesi prima rigettava nettamente parlando a The Lancet[47].
Nel 2010 l’FDA ha rivendicato il dovere di approvare questi dispositivi, così il progetto è stato interrotto nel gennaio 2013[48]. Tuttavia, nel 2017 sempre l’FDA ha approvato il test genomico della 23andMe, il primo in assoluto a rivelare direttamente al consumatore tendenze genetiche a certe malattie; ma l’FDA ha ribadito il rischio di falsi positivi o negativi e la necessità di rivolgersi a un medico per interpretare i risultati[49].
Più recentemente, nel 2018, sono sorte nuove polemiche perché Stefansson voleva ancora notificare automaticamente alle persone il cui DNA è stato repertoriato le malattie per cui erano a rischio. Secondo lui sarebbe una situazione life-threatening, cioè di minaccia vitale; quindi, non ci sarebbe bisogno del consenso informato: un po’ come si fa con qualcuno che sta per affogare (gli fate firmare un consenso informato prima di salvarlo? Ovviamente no). In realtà, è noto che molte malattie insorgono per svariati motivi, non solo genetici; quindi, il paragone con il poveretto che sta per affogare può essere fuorviante. Del resto, bisogna pur sempre ricordare la ricorrente tendenza di Stefansson ad allargare il più possibile consenso ed accesso ai dati nell’interesse della sua impresa, per cui la sua posizione non stupisce. Stefansson lamentava anche leggi sulla privacy troppo severe: tutta colpa dei Tedeschi, che, memori del disastro prodotto dal nazismo, hanno affermato in Europa un modello particolarmente protettivo. In ogni caso, l’Althingi ha deciso che anche questo non può essere fatto senza consenso esplicito; allora, per aggirare l’ostacolo, l’azienda ha introdotto sul suo websyte un modulo da firmare gratis per chiedere di sapere se si è portatori del gene BRCA2 (coinvolto nel cancro al seno e alla prostata). In pochi mesi, il 10% della popolazione ha fatto richiesta e il Landspitali ha dovuto adeguare il suo servizio di consulenza allo scopo. Si noti: la DeCode deteneva nel 2018 60.000 sequenze complete e 180.000 parziali del DNA dei cittadini islandesi[50]. Nel 2019, possedeva i dati genetici di almeno 1,6 milioni di persone da ogni parte del mondo[51].
Per chi li aveva raccolti? Certo, per i propri interessi; ma come risulta evidente dal rapporto inviato nel 2005 alla SEC (US Securities and Exchange Commission)[52], la DeCode è in rapporti stretti e continui con giganti del settore farmaceutico quali Roche (già citata), Merck, Bayer ecc. Ricordate quando Stefansson e il capo – epidemiologo di Stato Thorolfur Gunason avevano offerto alla Pfizer uno studio sull’immunità di gregge in quel gigantesco laboratorio che è l’Islanda? A parte l’idea infelice di studiare l’immunità di gregge con un vaccino non sterilizzante, quello che stavano facendo era, in realtà, una compravendita: se la Pfizer avesse accordato una consegna immediata di 500.000 dosi di vaccino, loro avrebbero messo a sua disposizione una messe di dati clinici. Invece, a gennaio 2021 Pfizer ha concluso un accordo del genere con Israele: In cambio, la compagnia avrebbe ricevuto abbondanti dati sul programma d’inoculazione[53]. Probabilmente, Pfizer non voleva legare l’ottenimento dei dati a un progetto di ricerca specifico, oppure non vedeva come opportuna un’offerta proveniente da Amgen, cioè dalla concorrenza; tuttavia, i dati sanitari le interessavano, eccome.
Una domanda s’impone: cosa ne fanno? E poi: non è che questo utilizzo avviene, in qualche modo, a nostro scapito? E torniamo alla domanda iniziale: siamo sicuri che la DeCode distrugge i tamponi? Perché, onestamente, vedersi passare per le mani tutto quel DNA e buttarlo nella spazzatura, con migliaia di sequenziamenti ancora incompleti nel database, ecco…non è che per loro (o per altri ad essi vicini) costituisce un’enorme tentazione? Nel mondo di Big Pharma, per molto meno, hanno (letteralmente) venduto la mamma.
Nel 2008 l’azienda è stata coinvolta dal collasso bancario islandese, per cui nel novembre dello stesso anno è stata rimossa dal NASDAQ Biotechnology Index; l’anno successivo, pur potendo continuare ad essere operativa, ha dovuto avviare una procedura di bancarotta negli USA, con debiti per 313,9 milioni di dollari e beni per soli 69,9. Dopo varie vicissitudini, nel dicembre 2012 è stata acquistata dalla compagnia farmaceutica californiana Amgen per 415 milioni di dollari. E qui, comincian le dolenti note/ a farmisi sentire…
I dati genetici…nelle grinfie di Big Pharma
Durante i miei lunghi pomeriggi alla biblioteca di Giurisprudenza, a scartabellare testi di storia che trovavo solo lì, cogliendo lacerti delle discussioni di alcuni professori persino io ho imparato che “i dati personali sono l’oro del 21° secolo”. Ebbene, le grandi aziende farmaceutiche amano particolarmente farne traffico.
L’11 settembre 2019[54] è stato annunciato che Amgen, AstraZeneca, GlaxoSmithKline e J&J hanno acquistato per 120 milioni di dollari l’accesso esclusivo per 9 mesi alla banca dati genomica inglese UK Biobank, sostenuta dal governo inglese e comprensiva di notizie sanitarie; i dati di 125.000 persone sarebbero stati disponibili a fine marzo 2020. Nel primo 2022, UK Biobank metterà loro a disposizione un altro mezzo milione di genomi; per il sequenziamento, UK Biobank si avvale dell’aiuto proprio di DeCode. GlaxoSmithKline ha invece investito 300 milioni di dollari in 23andMe. Regeneron, grande azienda biofarmaceutica, guida infine un consorzio che comprende AbbVie, Pfizer e altre imprese per l’analisi delle sequenze di esomi di 450.000 persone entro il 2020 (l’esoma è la parte di genoma in grado di codificare le proteine). Ovviamente, alcuni deputati democratici statunitensi si sono posti enormi problemi: come vengono gestiti questi dati dalle compagnie? E non stupisce che aziende attive nel settore genetico come Ancestry, 23andMe ed Helix abbiano creato un gruppo lobbistico che si fa sempre più strada a Washington[55].
Il modello DeCode è stato replicato molte volte per altri database genetici pubblici: in Inghilterra, in Finlandia e, come vedremo, nella nostra Sardegna. Ma esso è stato imitato anche dalle case farmaceutiche: così la Regeneron ha creato il Geisinger health system negli USA, mentre AstraZeneca si è associata per un progetto analogo al Wellcome Trust inglese. Ebbene, subito dopo l’acquisto di DeCode da parte di Amgen, nel 2013 è nata da ex-membri della DeCode la NextCode Health, oggi Genuity Science: questa impresa crea software e modelli di sequenziamento per lo studio del genoma e la diagnostica in tutto il mondo.
Ora la Amgen
…in October 2013 spun off deCODE genetics’ system and database to a new company called NextCODE Health which in turn was acquired in January 2015 by the Chinese company WuXiPharmaTech for $65 million[56].
Mi sono riletta questa frase molte volte e non posso che tradurla così (qualcuno mi corregga se sbaglio):
(Amgen) nell’ottobre 2013 ha scorporato e ceduto il sistema e database genetico della deCODE a una nuova compagnia chiamata NextCODE Health, che è stata a sua volta acquistata nel gennaio 2015 dalla compagnia cinese WuXiPharmaTech per 65 milioni di dollari.
Vi prego, ditemi che non è vero…Difatti, la fondazione di NextCode Health, in sostanza uno spin-off di DeCode (dal nuovo presidente J.Gulcher in giù, i dirigenti venivano tutti da lì) è stata annunciata il 23 ottobre 2013: la nuova impresa avrebbe goduto per 5 anni della licenza esclusiva ad avvalersi della piattaforma di DeCode e software e sistemi di analisi annessi per la diagnostica clinica fondata sul sequenziamento genomico (difatti, l’azienda collaborava con vari ospedali). La piattaforma di DeCode all’epoca aveva già sequenziato quasi mezzo milione di genomi ed era avvezza ad elaborare quantità enormi di dati; ma la licenza (se non ho preso un abbaglio leggendo) includeva anche l’accesso al database clinico riferito alla genetica più ampio e di maggior successo al mondo, contenente più di 40 milioni di varianti convalidate, che rappresentano la più ampia raccolta al mondo di varianti genetiche associate a dati clinici[57].
Tutto questo ben di Dio è finito, nel giro di due anni…ai Cinesi! Infatti, anche se recentissimamente Genuity Science (nuovo nome dell’azienda) è stata acquisita dalla statunitense HiberCell (con partecipazioni di altre industrie farmaceutiche, come AbbVie)[58], in sostanza Amgen e DeCode hanno venduto l’accesso al loro database genetico proprio ai Cinesi di WuXi PharmaTech, attiva nel campo genomico, biotecnologico e farmaceutico. La vendita è stata infatti confermata da un comunicato del 9 gennaio 2015 e avrebbe dato vita alla WuXi NextCODE Genomics: tra i suoi dirigenti, si trovava ancora Jeffrey Gulcher[59]. Non posso fare a meno di chiedermi se questi trasferimenti di dati, ma anche di sistemi d’analisi siano legali.
Che l’argomento sia esplosivo lo dimostrano alcuni maneggi poco chiari avvenuti anche qui da noi, in Sardegna. Il progetto SharDna, per cui è stato raccolto il DNA di ben 12.770 donatori dell’Ogliastra[60], è stato venduto nel 2016 a un’asta fallimentare tenuta dal tribunale di Cagliari alla multinazionale londinese Tiziana Life Sciences per la cifra irrisoria di 260.000 euro, quando invece la valutazione oscillerebbe tra i 3 e i 5 milioni di euro. Lo afferma la perizia dell’esperto, dott. Pierandrea Muglia, commissionata dal curatore fallimentare Renato Macciotta, sulla base proprio di una proporzione con l’acquisto della DeCode nel 2012 da parte di Amgen per 415 milioni di dollari; la valutazione si basa anche sull’entità dei campioni custoditi nei laboratori di Perdasdefogu, sul database clinico e sulla ricostruzione delle genealogie fino al 1600. In questa storia sono molte le cose strane: il progetto SharDna era iniziato nel 2000 con finanziamenti pubblici e privati per studiare le basi genetiche di malattie come alopecia, ipertensione, obesità, osteoporosi, asma ecc.; poi è stato venduto al S.Raffaele e infine è incorso nel fallimento e, di qui, in una svendita incomprensibile.
La Procura di Lanusei ha allora messo sotto sequestro il genoma, anche perché erano scomparse dal laboratorio migliaia di provette; per via di questo sequestro, la Tiziana Life Sciences non è mai venuta in possesso della biobanca (ad oggi, le azioni di questa azienda stanno scendendo in cantina[61]). Infine, 1.200 donatori hanno chiesto la restituzione dei loro dati. La regione Sardegna ha poi deciso di lanciare una fondazione per difendere il Dna dell’Ogliastra grazie all’impegno dell’associazione “Identità ogliastrina”, capeggiata da Flavio Cabitza. La fondazione sembra giunta al lancio definitivo proprio in questi giorni con la collaborazione dell’Università di Sassari, il che significa che il genoma ritorna di diritto ai suoi legittimi proprietari[62].
In questo caso, tutto è bene quel che finisce bene e anche l’inchiesta della Procura non ha sortito denunce; però, provette scomparse, un fallimento incomprensibile, una svendita assurda di un patrimonio genetico raro: un giallo genetico nostrano veramente inquietante.
L’Eldorado dei tamponi e lo spettro dell’eugenetica
Questa spropositata crisi mondiale del Covid-19 è divenuta l’Eldorado dei tamponi (senza che questi possiedano, come è noto, un vero effetto diagnostico, perché per quello ci vuole un medico). Di per sé, questa crescita abnorme del tracciamento ha provocato spostamenti di denaro sospetti. In Francia, ad esempio, nel 2020 la Sécurité sociale ha pagato i test ai laboratori privati per 1,8 miliardi di euro, 63 l’uno (beneficio netto di 18 euro l’uno e 1,5 milioni totale) per quanto essi arrivino spesso con grande ritardo: anche 10 giorni, quando ormai sono perfettamente inutili. E tutto ciò senza alcuna negoziazione da parte dello Stato: da settembre 2021 invece i tamponi sono diventati a pagamento per i privati, con lo scopo di obbligarli al vaccino, ma sempre a beneficio dei laboratori[63].
Ma nei tamponi c’è il nostro DNA. Quale potrebbe essere l’abuso di dati genetici in un futuro che si avvicina purtroppo a grandi passi lo esplicita un’inchiesta pubblicata nello scorso luglio da Reuters[64]. La cosiddetta “Huawei della genomica”, la cinese BGI Genomics, nota per i suoi test anti-Covid-19, vende anche test prenatali a buon prezzo, i Nifty, commercializzati in Germania, Spagna, Gran Bretagna, Danimarca, ma anche in Canada, Australia, India e Pakistan (non in Italia, né negli USA). Già le autorità statunitensi temevano che ne ricavasse dati con cui incentivare la sua biobanca genetica: in marzo, una commissione apposita (la US National Security Commission on Artificial Intelligence o NSCAI) aveva allertato che l’ascesa cinese nel campo delle biotecnologie e dell’intelligenza artificiale è una minaccia alla sicurezza nazionale; ma il timore è divenuto certezza quando la Reuters, intervistando specialisti e donne coinvolte, poi scandagliando le pubblicazioni di BGI e le istruzioni dei loro software, si è accorta che effettivamente i loro test catturano dati sul genoma e sul fenotipo (peso, altezza, sesso, etnia, dati sanitari ecc.) del bambino, come della mamma.
L’intelligence americana ha lanciato l’allarme tra le autorità sanitarie; apparentemente, la BGI non viola le norme della privacy: fa firmare un consenso informato e distrugge (così dice) i campioni e dati delle donne straniere dopo 5 anni, ma le donne (come dimostrano alcune interviste) non sanno dove i loro dati saranno stoccati. Inoltre, BGI deve condividere i dati genetici col governo per motivi di sicurezza nazionale, come si evince da una normativa di Pechino del 2019 (d’altro lato, dal 2015 i ricercatori stranieri non possono accedere ai dati genetici della popolazione cinese, laddove in Occidente ciò è possibile). I dati confluiscono in un database genetico finanziato dal governo e gestito dalla stessa BGI, uno dei maggiori al mondo: il China National Gene Bank, dove Reuters ha trovato i dati di ben 500 donne, tra cui molto estere.
La BGI ha stivato così i dati provenienti da ben 8 milioni di test praticati su altrettante donne incinte: una cosa di proporzioni inusitate, anche se altri produttori di test raccolgono il materiale genetico rimasto per motivi di ricerca. Tutto ciò potrebbe costituire un pericolo militare ed economico per gli USA (e non solo): infatti, questa massa enorme di dati, anche se anonimi, può costituire il punto di partenza per una gigantesca mappatura genetica. I Cinesi potrebbero creare così soldati potenziati geneticamente, o patogeni adattati a colpire un’altra popolazione suscettibile a quella malattia. E la BGI lavora per l’Esercito popolare cinese, almeno dal 2010…
In quell’anno ha stretto infatti un accordo di ricerca con l’Ospedale Generale dell’Esercito del Popolo a Pechino e pure con la Terza Università Medica Militare di Chongqing, pubblicando poi numerosi studi in collaborazione con i loro ricercatori. Questa collaborazione, basata sullo studio dei dati offerti dai test, è volta a potenziare geneticamente i militari, oppure a scoprire la loro predisposizione genetica alla sordità (parecchi restano sordi maneggiando l’artiglieria); hanno studiato se migliorare geneticamente la resistenza dei Cinesi Han ai danni cerebrali da altitudine, oppure collegato singoli geni all’altezza e alla percentuale di grasso corporeo; hanno cercato i geni relativi a malattie mentali, studiato la resistenza della popolazione a determinati virus e, addirittura, scoperto che l’epatite B è molto comune tra i Cinesi, mentre certi tipi di herpes tra gli Europei. Ben presto, asseriscono gli esperti, con il materiale genetico rilasciato in un test Nifty sarà possibile ricostruire l’aspetto di una persona, senza contare che ognuno di noi è identificabile grazie a una semplice porzione del suo DNA.
L’università di Chongqing e la BGI hanno poi collaborato a organizzare conferenze su come prevenire le malformazioni congenite e “migliorare la qualità della popolazione”, dato che “le malformazioni congenite non colpiscono solo la salute e la qualità della vita dei bambini, ma anche la qualità della popolazione e manodopera del paese”. Più eugenetico di così…In uno studio compiuto con l’aiuto di un potentissimo computer militare, la BGI ha cercato di isolare i geni tipici delle etnie Han, uigure e tibetane (queste ultime minoranze perseguitate) e persino gli effetti dei movimenti delle popolazioni e dei matrimoni misti. In un rapporto per il Direttore dei servizi segreti USA, alcuni scienziati occidentali temono che tali sequenziamenti possano essere sfruttati per approfittare indegnamente delle vulnerabilità genetiche di queste popolazioni vittime di repressione. Gli USA hanno sanzionato due società dipendenti dalla BGI per la raccolta abusiva di dati genetici “finalizzati alla repressione dei cittadini”, ma Pechino nega tutto.
Ciliegina sulla torta: per quanto BGI giuri e spergiuri di non raccogliere il DNA dei pazienti con i suoi test Covid-19 negli 80 laboratori da essa costruiti in almeno 30 paesi, le autorità di sicurezza americane ritengono che anche questo rientri nel suo sforzo di raccogliere grandi quantità di materiale genetico estero.
Chiosa finale:
Dalle tecniche di eugenetica a utilizzare il genoma umano come un’arma, il passo è fin troppo breve. Specie se si ha sottomano un database genetico immenso.
Conclusione
In questi ultimi giorni, Canada, Germania e Slovenia hanno manifestato la loro più viva preoccupazione per questi fatti[65], tanto che è sorta la domanda, coincidente con il titolo dell’articolo da me consultato: l’UE è in grado di tutelare la privacy dei dati genetici dei suoi cittadini?
Rispondo io, senza essere un esperto di AI o diritto: no. No, perché, come ho dimostrato in un mio recente articolo, troppe alte cariche UE sono nelle mani delle multinazionali e di poteri ben più forti dei singoli Stati[66]. No, perché dietro queste imprese specializzate nella genomica si intravvedono troppo spesso multinazionali farmaceutiche oppure giganti della Sylicon Valley, o comunque interessi molto lontani da quello dei cittadini; e questi sono, non di rado alleati con la Cina. No, perché, anche se le leggi ci sono, come il famoso GDPR UE del 2016, ci vuole la volontà di applicarle: e abbiamo visto che in Italia con il Green Pass la privacy è diventata carta straccia (basti leggere l’ultimo decreto-legge, che allarga a dismisura le possibilità invasive del governo “per motivi di interesse pubblico”[67]). A scapito dei cittadini.
Non nascondiamoci dietro le necessità della “scienza”, anche se essa ha certo bisogno di apertura, trasparenza e condivisione dei dati. La scienza è, in realtà, un semplice strumento nelle mani degli scienziati: e se questi sono disonesti, diventa un’arma molto pericolosa. Sono tutti irreprensibili, oppure c’è anche qualche malandrino che repertoria genomi, esomi e compagnia cantante per raccogliere dati all’insaputa di noi poveri mortali e poi, magari, venderli a qualche banca dati? Oppure (come sopra) ai Cinesi? Che affidabilità ha uno scienziato, peraltro molto brillante e con vari meriti, come Kari Stefansson (per esempio), che non accetta obiezioni e persegue testardamente il suo interesse aziendale, passandolo come interesse della collettività? E poi: potremmo un giorno essere discriminati sulla base dei nostri geni? Potremmo tornare agli orrori dell’eugenetica? E si ricordi che leggi eugenetiche sono esistite in paesi cosiddetti “civili”, come Svezia e Stati Uniti, fino all’altro ieri[68]. In un paese che discrimina chi per semplice prudenza non vuole assumere un vaccino OGM, questi timori sono ampiamente sensati e il pericolo è dietro l’angolo.
fonti:
[1] Cfr. https://www.government.is/government/covid-19/#actions
[2] Cfr. https://www.sabinopaciolla.com/covid-19-e-grande-reset-il-caso-dellislanda-intervista-a-un-giovane-italiano-residente-a-reykjavik/ e https://www.sabinopaciolla.com/il-fiasco-vaccinale-dellislanda-al-microscopio/
[3] Cfr. https://www.decode.com/; http://zims-en.kiwix.campusafrica.gos.orange.com/wikipedia_en_all_nopic/A/DeCODE_genetics
[4] Cfr. https://www.decode.com/management/
[5] Si veda anche Anna Azvolinsky, Master Decoder: A Profile of Kári Stefánsson, The Scientist 1° marzo 2019,
https://www.the-scientist.com/profile/master-decoder–a-profile-of-kri-stefnsson-65517
[6] Cfr. James Butcher, Kari Stefansson, general of genetics, The Lancet, 27 January 2007
https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(07)60133-0/fulltext
[7] Cfr. per la versione originale sottotitolata in inglese https://www.youtube.com/watch?v=9GzUAHbblIE
[8] Cfr. Megan Scudellari, How Iceland hammered COVID with science, Nature 587, 536-539 (2020), 25 novembre 2020, doi: https://doi.org/10.1038/d41586-020-03284-3 https://www.nature.com/articles/d41586-020-03284-3
[9] Cfr. Þórunn Kristjánsdóttir, „Eðlilegt“ og „sjálfsagt“ að leggjast á árarnar, Morgunblaðið, 6 marzo 2020, https://www.mbl.is/frettir/innlent/2020/03/06/edlilegt_og_sjalfsagt_ad_leggjast_a_ararnar/
[10] Cfr. Megan Scudellari, How Iceland hammered COVID with science, Nature 587, 536-539 (2020), 25 novembre 2020, doi: https://doi.org/10.1038/d41586-020-03284-3 https://www.nature.com/articles/d41586-020-03284-3
[11] https://www.government.is/diplomatic-missions/embassy-article/2020/03/15/Large-scale-testing-of-general-population-in-Iceland-underway/
[12] Cfr. Megan Scudellari, How Iceland hammered COVID with science, Nature 587, 536-539 (2020), 25 novembre 2020, doi: https://doi.org/10.1038/d41586-020-03284-3 https://www.nature.com/articles/d41586-020-03284-3
[13] Cfr. Thrisvar sinum fleiri smit en greindust, Morgunbladid 5 giugno 2020, https://www.mbl.is/frettir/burdargrein/2020/06/05/thrisvar_sinnum_fleiri_smit_en_greindust/
[14] Cfr. https://www.decode.com/publications/
[15] Cfr. ad esempio una pubblicazione sul SARS-Cov2, https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34131116/
[16] Al problema si allude velatamente in Þórunn Kristjánsdóttir, „Eðlilegt“ og „sjálfsagt“ að leggjast á árarnar, Morgunblaðið, 6 marzo 2020, https://www.mbl.is/frettir/innlent/2020/03/06/edlilegt_og_sjalfsagt_ad_leggjast_a_ararnar/
[17] Cfr. Sergio Sismondo, Epistemic Corruption, the Pharmaceutical Industry, and the Body of Medical Science, Frontiers in Research Metrics and Analytics 8 marzo 2021, 2021 | https://doi.org/10.3389/frma.2021.614013, https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/frma.2021.614013/full
[18] Cfr. Anna Azvolinsky, Master Decoder: A Profile of Kári Stefánsson, The Scientist 1° marzo 2019,
https://www.the-scientist.com/profile/master-decoder–a-profile-of-kri-stefnsson-65517
[19] Cfr. James Butcher, Kari Stefansson, general of genetics, The Lancet, 27 January 2007
https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(07)60133-0/fulltext
[20] Cfr. Nicholas Wade, A genomic treasure hunt may be striking gold, New York Times 18 June 2002, https://www.nytimes.com/2002/06/18/science/a-genomic-treasure-hunt-may-be-striking-gold.html
[21] Cfr. Anna Azvolinsky, Master Decoder: A Profile of Kári Stefánsson, The Scientist 1° marzo 2019,
https://www.the-scientist.com/profile/master-decoder–a-profile-of-kri-stefnsson-65517
[22] Cfr. https://www.islendingabok.is/
[23] Cfr. Nicholas Wade, A genomic treasure hunt may be striking gold, New York Times 18 June 2002, https://www.nytimes.com/2002/06/18/science/a-genomic-treasure-hunt-may-be-striking-gold.html
[24] Cfr. Cfr.Thrainn Eggertson, The evolution of property rights: The strange case of Iceland’s health records, International Journal of the Commons 5(2011), pp. 50-65, 5(1), 50–65, DOI: http://doi.org/10.18352/ijc.251, https://www.thecommonsjournal.org/articles/10.18352/ijc.251/#fn30
[25] Cfr. https://www.althingi.is/altext/123/s/0109.html
[26] Cfr. Ruth Chadwick, The Icelandic database—do modern times need modern sagas?. BMJ. 319 (7207), (1999), pp. 441–444, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1127047/
[27] Jon F.Merz – Glenn E.McGee – Pamela Sankar, “Iceland, Inc.”?: On the ethics of commercial population genomics, Social Science and Medicine 58/6 /2004), pp 1201-9, https://repository.upenn.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1051&context=bioethics_papers
[28] Cfr.Thrainn Eggertson, The evolution of property rights: The strange case of Iceland’s health records, International Journal of the Commons 5(2011), pp. 50-65, DOI: http://doi.org/10.18352/ijc.251, https://www.thecommonsjournal.org/articles/10.18352/ijc.251/#fn30
[29] Cfr. Ruth Chadwick, The Icelandic database—do modern times need modern sagas?. BMJ. 319 (7207), (1999), pp. 441–444, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1127047/
[30] Cfr.Thrainn Eggertson, The evolution of property rights: The strange case of Iceland’s health records, International Journal of the Commons 5(2011), pp. 50-65, DOI: http://doi.org/10.18352/ijc.251, https://www.thecommonsjournal.org/articles/10.18352/ijc.251/#fn30
[31] Cfr. Ruth Chadwick, The Icelandic database—do modern times need modern sagas?. BMJ. 319 (7207), (1999), pp. 441–444, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1127047/
[32] Jon F.Merz – Glenn E.McGee – Pamela Sankar, “Iceland, Inc.”?: On the ethics of commercial population genomics, Social Science and Medicine 58/6 /2004), pp 1201-9, https://repository.upenn.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1051&context=bioethics_papers
[33] Cfr. Stuart Leavenworth, Iceland faces DNA dilemma: Whether to notify people carrying cancer genes, Seattle Times 14 giugno 2018, https://www.seattletimes.com/nation-world/iceland-faces-a-dna-dilemma-whether-to-notify-people-carrying-cancer-genes/
[34] Cfr. Cfr.Thrainn Eggertson, The evolution of property rights: The strange case of Iceland’s health records, International Journal of the Commons 5(2011), pp. 50-65, DOI: http://doi.org/10.18352/ijc.251, https://www.thecommonsjournal.org/articles/10.18352/ijc.251/#fn30
[35] Cfr. https://www.lib.berkeley.edu/iceland/comp.html
[36] Cfr.Thrainn Eggertson, The evolution of property rights: The strange case of Iceland’s health records, International Journal of the Commons 5(2011), pp. 50-65, DOI: http://doi.org/10.18352/ijc.251, https://www.thecommonsjournal.org/articles/10.18352/ijc.251/#fn30
[37] Cfr. J Gulcher and K Stefansson, “The Icelandic Healthcare Database and Informed Consent,” New England Journal of Medicine, vol 342, pp 1827-1830, https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/10853008/
[38] Cfr.Thrainn Eggertson, The evolution of property rights: The strange case of Iceland’s health records, International Journal of the Commons 5(2011), pp. 50-65, DOI: http://doi.org/10.18352/ijc.251, https://www.thecommonsjournal.org/articles/10.18352/ijc.251/#fn30
[39] Cfr. Ruth Chadwick, The Icelandic database—do modern times need modern sagas?. BMJ. 319 (7207), (1999), pp. 441–444, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1127047/
[40] Cfr. Ruth Chadwick, The Icelandic database—do modern times need modern sagas?. BMJ. 319 (7207), (1999), pp. 441–444, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1127047/
[41] Cfr.J Gulcher and K Stefansson, “The Icelandic Healthcare Database and Informed Consent,” New England Journal of Medicine, vol 342, pp 1827-1830, https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/10853008/
[42] Cfr. Ruth Chadwick, The Icelandic database—do modern times need modern sagas?. BMJ. 319 (7207), (1999), pp. 441–444, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1127047/
[43] Jon F.Merz – Glenn E.McGee – Pamela Sankar, “Iceland, Inc.”?: On the ethics of commercial population genomics, Social Science and Medicine 58/6 /2004), pp 1201-9, https://repository.upenn.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1051&context=bioethics_papers
[44] Cfr. comunicato stampa deCODE Launches deCODEme™, 16 novembre 2007, https://www.decode.com/decode-launches-decodeme/
[45] Cfr. https://www.23andme.com/en-int/
[46] Cfr. Nicholas Wade, Company Offers Genome Assessments, New York Times 16 novembre 2007, https://www.nytimes.com/2007/11/16/science/17gene.html
[47] Cfr. James Butcher, Kari Stefansson, general of genetics, The Lancet, 27 January 2007
https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(07)60133-0/fulltext
[48] Cfr. http://zims-en.kiwix.campusafrica.gos.orange.com/wikipedia_en_all_nopic/A/DeCODE_genetics
[49] Cfr. FDA allows marketing of first direct-to-consumer tests that provide genetic risk information for certain conditions, 6 April 2017, https://www.fda.gov/news-events/press-announcements/fda-allows-marketing-first-direct-consumer-tests-provide-genetic-risk-information-certain-conditions
[50] Cfr. Stuart Leavenworth, Iceland faces DNA dilemma: Whether to notify people carrying cancer genes, Seattle Times 14 giugno 2018, https://www.seattletimes.com/nation-world/iceland-faces-a-dna-dilemma-whether-to-notify-people-carrying-cancer-genes/
[51] Cfr.Jacob Bell, Drug companies pay for exclusive access to UK genetic data, Biopharma Dive 11 settembre 2019, https://www.biopharmadive.com/news/uk-biobank-genome-sequencing-investment-amgen-astrazeneca-johnson-gsk/562709/
[52] Cfr. https://sec.report/Document/0001104659-06-016794/
[53] Cfr. Kristen V.Brown – Ragnhildur Sigurdardottir, Pfizer Herd Immunity Study Stymied by Iceland’s Wins Over Covid, Bloomberg 15 febbraio 2021, https://www.bloomberg.com/news/articles/2021-02-15/pfizer-herd-immunity-study-stymied-by-iceland-s-wins-over-covid
[54] Cfr.Jacob Bell, Drug companies pay for exclusive access to UK genetic data, Biopharma Dive 11 settembre 2019, https://www.biopharmadive.com/news/uk-biobank-genome-sequencing-investment-amgen-astrazeneca-johnson-gsk/562709/
[55] Cfr.Jacob Bell, Drug companies pay for exclusive access to UK genetic data, Biopharma Dive 11 settembre 2019, https://www.biopharmadive.com/news/uk-biobank-genome-sequencing-investment-amgen-astrazeneca-johnson-gsk/562709/
[56] Cfr. http://zims-en.kiwix.campusafrica.gos.orange.com/wikipedia_en_all_nopic/A/DeCODE_genetics
[57] Cfr. NextCODE Health Launches Operations with Exclusive License to Leverage deCODE genetics’ Genomics Platform for Sequence-Based Clinical Diagnostics, and $15 Million in Venture Financing, 23 ottobre 2013, https://www.prnewswire.com/news-releases/nextcode-health-launches-operations-with-exclusive-license-to-leverage-decode-genetics-genomics-platform-for-sequence-based-clinical-diagnostics-and-15-million-in-venture-financing-228916071.html
[58] Cfr. https://genuitysci.com/news/hibercell-expands-translational-oncology-toolbox-by-acquiring-genuity-science-inc/
[59] Cfr. WuXi PharmaTech Acquires NextCODE Health to Create Global Leader in Genomic Medicine, 9 gennaio 2015,
[60] Cfr.Giusy Ferreli, Il dna sardo vale 3 milioni, venduto a 260mila euro, La Nuova Sardegna 17 settembre 2019, https://www.lanuovasardegna.it/regione/2019/09/16/news/il-dna-sardo-vale-3-milioni-venduto-a-260mila-euro-1.17882512
[61] Cfr. https://www.tizianalifesciences.com/
[62] Cfr. Una biobanca del Dna dei sardi per studiarne la longevità, ANSA 22 settembre 2021, https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/salute_65plus/medicina/2021/09/22/una-biobanca-del-dna-dei-sardi-per-studiarne-la-longevita_cd77d744-0bbe-4ae4-8a28-af4a3848317b.html
[63] Cfr. Tests Covid: le benefice exceptionnel des labos, Marianne TV, 27 luglio 2021, https://www.youtube.com/watch?v=zAR_WZ8vQpI; l’articolo corrispondente è Emmanuel Levy, Tests PCR: près d’un demi-milliard de bénéfices supplémentaires pour les labos?, Marianne 24 luglio 2021, https://www.marianne.net/societe/sante/les-labos-de-ville-rois-du-petrole-apres-un-an-de-tests-covid
[64] Articolo originale: Kirsty Needham – Clare Baldwin, China’s gene giant harvests data from millions of women, Reuters 7 luglio 2021, https://www.reuters.com/investigates/special-report/health-china-bgi-dna/ Per l’Italia, cfr. Otto Lanzavecchia, Guerra genetica, come la Cina mappa il Dna di intere popolazioni, Formiche.net 8 luglio 2021 https://formiche.net/2021/07/guerra-genetica-cina-dna/
[65] Alberto Cantoni, Ladri di Dna. L’Ue è in grado di tutelare la privacy dei dati genetici dei suoi cittadini?, L’inkiesta 7 ottobre 2021, https://www.linkiesta.it/2021/10/dna-genetica-dati-gdpr-test-prenatali-nifty-bgi/
[66] Cfr. https://www.sabinopaciolla.com/quanto-potere-ha-la-lobby-di-big-pharma-il-caso-dellunione-europea/
[67] Cfr. Ruben Ruzzante, Col “decreto capienze” arriva anche il Grande Fratello, Nuova Bussola quotidiana 14 ottobre 2021, https://lanuovabq.it/it/col-decreto-capienze-arriva-anche-il-grande-fratello
[68] Cfr. http://www.istoreto.it/mostre/museo-virtuale-delle-intolleranze-e-degli-stermini/
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