L’Arcivescovo e abate di Modena-Nonantola, mons. Erio Castellucci, cerca di riabilitare la figura del gesuita belga Jacques Dupuis (1923-2004), sulle cui tesi equivoche, circa Gesù Cristo unico Salvatore del genere umano, si era già pronunciata sfavorevolmente la Congregazione per la Dottrina della Fede, capitanata dall’allora prefetto Joseph Ratzinger. Perché Avvenire si presta al recupero di una teologia chiaramente eterodossa?
di Silvio Brachetta
Direttamente dall’oltretomba, evocato da Avvenire, appare lo spettro di Jacques Dupuis, gesuita belga e teologo ambiguo, sulla cui eterodossia si era già pronunciata la Congregazione per la Dottrina della Fede, nel 2001. Un entusiasta mons. Erio Castellucci, sul giornale dei vescovi, fa la recensione del libro di Gerard O’Connell, Il mio caso non è chiuso. Conversazioni con Jacques Dupuis (Emi, 2019) e sdogana la teologia che fa capo al contorto pluralismo religioso contemporaneo.
Il “caso Dupuis” fece scalpore. Al suo libro Verso una teologia del pluralismo religioso (Queriniana, 1997) seguì a ruota una notificazione dell’ex Santo Uffizio, in cui Joseph Ratzinger – allora prefetto della Congregazione – costatava «che nel libro sono contenute notevoli ambiguità e difficoltà su punti dottrinali di rilevante portata, che possono condurre il lettore a opinioni erronee o pericolose».
Quali? Leggendo il libro – scrive Ratzinger – il lettore corre il rischio d’incorrere in «gravi equivoci e fraintendimenti» circa la «mediazione salvifica unica e universale di Cristo, l’unicità e pienezza della rivelazione di Cristo, l’azione salvifica universale dello Spirito Santo, l’ordinazione di tutti gli uomini alla Chiesa, il valore e il significato della funzione salvifica delle religioni». Non sono cose da nulla. In breve, Dupuis da una parte sostiene la centralità di Gesù Cristo, Salvatore unico del genere umano ma, dall’altra, sembra negarla.
Sandro Magister, in un suo articolo del 2000, sintetizzava bene la questione. Dupuis – scrive Magister – «tiene fermo che Gesù Cristo è l’unico “volto umano” in cui Dio si è rivelato in pienezza». E, tuttavia, egli «riconosce che lo stesso Dio è da sempre presente e operante anche in altre “figure salvifiche” e “vie di salvezza”, tutte “convergenti” e “complementari” con quella cristiana». Tutte le religioni, in questo quadro, «possono essere l’ombra imperfetta della suprema Rivelazione cristiana, che tutte illumina e invera». Saremmo, quindi, al relativismo religioso, che reputa buone tutte le religioni per la salvezza eterna.
Con questo genere di teologia è sempre obbligatorio usare il condizionale. La teologia contemporanea, infatti, non è una teologia immediatamente eterodossa, in cui gli errori sono facilmente catalogabili e confutabili, come nel passato. Si tratta invece di una teologia della confusione, volutamente incomprensibile, per introdurre nuove presunte verità in modo obliquo, così da passare inosservate e, infine, accettate per abitudine anche dal magistero della Chiesa.
Tra l’altro Dupuis non fu l’unico autore a vagheggiare una sorta di soteriologia panreligiosa. Ebbero grossi problemi con la cristologia anche altri autori: Raimon Panikkar, Anthony De Mello, John Hick, Felix Wilfred, per citare i più noti. La verità su Gesù Cristo unico Salvatore del mondo fu a tal punto messa in discussione da alcuni teologi, che Ratzinger – con il sostegno di Giovanni Paolo II – si vide costretto a pubblicare la Dominus Iesus (2000), che riconfermava la necessità della Chiesa in ordine alla salvezza.
Il teologo Inos Biffi ebbe a dire in proposito: «Che la Congregazione per la Dottrina della Fede abbia ritenuto di dover intervenire con la dichiarazione Dominus Iesus circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù e della Chiesa è di una gravità senza precedenti: perché in duemila anni mai si era sentito il bisogno di richiamare e difendere verità così elementari» (cit. in Roberto Dal Bosco, Cristo o l’India, Fede e Cultura, 2018, p. 126). Fu lo stesso Biffi a stroncare il libro di Dupuis su Avvenire. Stroncatura anche su La Civiltà Cattolica, da parte di padre Giuseppe De Rosa.
Oggi no. Ad Avvenire (e a La Civiltà Cattolica) tutto è cambiato. Ritornando a Erio Castellucci e alla sua recensione, Dupuis viene incoronato come «profeta». Castellucci si guarda bene dal ripercorrere la vicenda Ratzinger-Dupuis e liquida tutto scrivendo che il teologo belga «fu il sostenitore di una teologia del pluralismo religioso» ed «ebbe vicissitudini travagliate» nella ricezione del suo libro.
Per fortuna è arrivato Papa Francesco che, dopo avere «chiesto nuovo slancio alla Chiesa per un dialogo interreligioso pienamente integrato nella missione evangelizzatrice», permette di «ritornare più serenamente al pensiero di Dupuis». Cioè, passata la tempesta rigidista di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, le maglie si sono allargate e i tempi sono maturi per reintrodurre suggestioni relativiste.
Castellucci cerca, ovviamente, di far passare la nuova cristologia per buona e nega che in Dupuis vi sia stato relativismo. Anzi, dopo l’incontro tra Papa Francesco e il Grande Imam Ahamad al-Tayyib, ad Abu Dhabi, è superato «il semplice pluralismo de facto, ossia la mera presa d’atto dell’esistenza delle differenze» tra le religioni, pur non arrivando «ad affermare un pluralismo de iure che depotenzierebbe la missione».
Dietro la terminologia ambigua e incatenata della nuova teologia incomprensibile, si ribadisce la sorprendente ipotesi di Bergoglio, secondo cui la diversità di religione sarebbe in fondo voluta da Dio, pur non potendo affermare (perché in questo caso l’errore sarebbe manifesto) la conseguente inutilità dell’annuncio evangelico. Castellucci, difatti, riporta le parole del Documento sulla Fratellanza umana, firmato ad Abu Dhabi nel 2019: «Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani».
Non è per nulla strano che, dietro a simili dichiarazioni pontificie, Dupuis possa essere riabilitato e la Dominus Iesus messa definitivamente sotto naftalina. La trasmutazione di Avvenire ha dell’incredibile. Si vuol far passare come convalidata la teoria della continuità tra il magistero precedente e l’attuale, nonostante le difformità evidenti. Castellucci tira persino in ballo il magistero dello stesso Giovanni Paolo II che, assieme a quello di Papa Francesco, sarebbe «sulla linea dei “segni dei tempi” rilanciata da Papa Giovanni XXIII».
I «segni dei tempi», in questa nuova versione aggiornata di Avvenire, sarebbero da intendere in senso storicista, ovvero la verità valida ieri può non essere più quella valida oggi. E, similmente, le condanne di ieri diventano magicamente le assoluzioni di oggi.
Pare dunque certo quello che osserva Castellucci: «La dichiarazione di Abu Dhabi sarebbe stata gradita a padre Dupuis». Su questo non si scorge dubbio alcuno.
Scrivi un commento