di Sabino Paciolla

Papa Francesco ieri ha detto che “nei secoli passati” è stato ignorato “il primato della misericordia sulla giustizia” nell’uso della pena di morte, che ha definito “una punizione disumana” che è “sempre inammissibile”.

Il Pontefice ha ricevuto ieri in Vaticano la delegazione della Commissione internazionale contro la pena di morte, che ha ringraziato per il lavoro svolto per l’abolizione universale di questa forma di punizione.

Durante l’udienza privata, il Papa ha messo da parte il suo discorso preparato e ha parlato a braccio alla delegazione. Dopo l’incontro, il Vaticano ha rilasciato il discorso preparato ai giornalisti, precisando che il testo era stato consegnato anche ai partecipanti.

Più sotto riporto i passaggi più significativi del discorso scritto, redatto in spagnolo, che ho tradotto dall’inglese nella versione riportata da Diane Montagna.

I passaggi che riporto, come nei mesi passati, è probabile che  sollevino discussioni. Della questione della pena di morte abbiamo già parlato in varie occasioni su queste pagine elettroniche. Gli articoli più significativi sono quelli di Feser (qui) e soprattutto quello del card. Avery Dulles, s. j. (qui).

Ecco, a mio parere, i passaggi più significativi del discorso di ieri di papa Francesco.

 

foto: papa Francesco in udienza delegazione Commissione internazionale contro la pena di morte (17.12.2018, da Vaticannews.va)

foto: papa Francesco in udienza delegazione Commissione internazionale contro la pena di morte (17.12.2018, da Vaticannews.va)

 

Illustri signore e signori,

(…)

Ho inviato una lettera al vostro ex Presidente il 19 marzo 2015 e ho espresso l’impegno della Chiesa per la causa dell’abolizione nel mio discorso al Congresso degli Stati Uniti il 24 settembre 2015.

Ho condiviso alcune idee su questo argomento nella mia lettera all’Associazione internazionale di diritto penale e all’Associazione latinoamericana di diritto penale e criminologia, il 30 maggio 2014. Li ho approfonditi nel mio discorso alle cinque maggiori associazioni mondiali dedicate allo studio del diritto penale, della criminologia, della vittimologia e delle questioni penitenziarie, il 23 ottobre 2014. La certezza che ogni vita è sacra e che la dignità umana deve essere salvaguardata senza eccezioni mi ha portato, fin dall’inizio del mio ministero, a lavorare a diversi livelli per l’abolizione universale della pena di morte.

Ciò si è recentemente riflesso nella nuova formulazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa cattolica, che ora esprime il progresso della dottrina degli ultimi Pontefici e il cambiamento di coscienza del popolo cristiano, che rifiuta una pena che ferisce gravemente la dignità umana (cfr. Discorso in occasione del 25° Anniversario del Catechismo della Chiesa cattolica, 11 ottobre 2017).  Una pena contraria al Vangelo perché implica la soppressione di una vita sempre sacra agli occhi del Creatore e di cui solo Dio è il vero giudice e garante (cfr. Lettera al Presidente della Commissione internazionale contro la pena di morte, 20 marzo 2015).

Nei secoli passati, quando mancavano gli strumenti oggi a nostra disposizione per la protezione della società e non si era ancora raggiunto l’attuale livello di sviluppo dei diritti umani, il ricorso alla pena di morte è stato talvolta presentato come una conseguenza logica e giusta. Anche nello Stato Pontificio si è fatto ricorso a questa forma disumana di punizione, ignorando il primato della misericordia sulla giustizia.

Ecco perché la nuova formulazione del Catechismo implica anche l’assunzione di responsabilità per il passato e il riconoscimento che l’accettazione di questa forma di punizione è stata la conseguenza di una mentalità contemporanea, più legalistica che cristiana, che ha sacralizzato il valore di leggi prive di umanità e misericordia. La Chiesa non poteva rimanere in una posizione neutrale di fronte all’esigenza odierna di riaffermare la dignità personale.

La riforma del testo del Catechismo sul punto dedicato alla pena di morte non implica alcuna contraddizione con l’insegnamento del passato, poiché la Chiesa ha sempre difeso la dignità della vita umana. Tuttavia, lo sviluppo armonioso della dottrina impone la necessità di far riflettere nel Catechismo che, ferma restando la gravità del crimine commesso, la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che la pena di morte è sempre inammissibile perché viola l’inviolabilità e la dignità della persona.

Allo stesso modo, il Magistero della Chiesa comprende che la condanna a vita, che elimina la possibilità di redenzione morale ed esistenziale, a beneficio dei condannati e della comunità, è una forma di pena di morte nascosta (cfr. Discorso ad una Delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, 23 ottobre 2014).  Dio è un Padre che attende sempre il ritorno del figlio che, sapendo di aver commesso un errore, chiede perdono e inizia una nuova vita. Nessuno, dunque, può essere privato della vita o della speranza di redenzione e riconciliazione con la comunità.

Come è accaduto nel seno della Chiesa, un impegno analogo deve essere preso nel concerto delle nazioni. Il diritto sovrano di tutti i Paesi di definire il proprio ordinamento giuridico non può essere esercitato in contraddizione con gli obblighi derivanti dal diritto internazionale, né può rappresentare un ostacolo al riconoscimento universale della dignità umana.

Le risoluzioni delle Nazioni Unite sulla moratoria del ricorso alla pena di morte, che mirano a sospendere l’applicazione della pena di morte nei paesi membri, sono una via da seguire senza compromettere l’iniziativa dell’abolizione universale.

(…)

Come ho già fatto in precedenti occasioni, vorrei richiamare ancora una volta l’attenzione sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, che purtroppo sono un fenomeno ricorrente nei paesi con o senza la pena di morte legale. Si tratta di uccisioni deliberate commesse da agenti statali, spesso fatte passare come esito di scontri con sospetti criminali o presentate come conseguenze indesiderate dell’uso ragionevole, necessario e proporzionato della forza per proteggere i cittadini.

L’amore per se stessi è un principio fondamentale della morale. È quindi legittimo garantire il rispetto del proprio diritto alla vita, anche quando è necessario infliggere un colpo mortale all’aggressore (cfr. CEC, n. 2264).

La legittima difesa non è un diritto, ma un dovere per chi è responsabile della vita di un altro (cfr. ibid., n. 2265).  La difesa del bene comune esige che l’aggressore sia posto nella condizione di non poter arrecare danno. Per questo motivo, coloro che hanno la legittima autorità devono respingere ogni aggressione, anche con l’uso delle armi, ogni qualvolta ciò sia necessario per la conservazione della propria vita o di quella delle persone che si trovano sotto la loro cura. Di conseguenza, qualsiasi uso della forza letale che non sia strettamente necessario a questo scopo può essere considerato solo come un’esecuzione illegale, un crimine statale.

Ogni azione difensiva, per essere legittima, deve essere necessaria e misurata. Come ha insegnato San Tommaso d’Aquino, “un tale atto, per quanto riguarda la conservazione della propria vita, non ha nulla di illecito, poiché è naturale per ogni essere preservare il più possibile la propria esistenza. Tuttavia, un atto che deriva da una buona intenzione può diventare illecito se non è proporzionato al fine. Quindi, se uno, per difendere la propria vita, usa più violenza del necessario, questo atto sarà illecito. Ma se rifiuta moderatamente l’aggressione, la difesa sarà lecita perché, secondo la legge, è lecito respingere la forza con la forza, moderando la difesa secondo le esigenze della sicurezza minacciata” (Summa theologiae, 2-2, q. 64, a. 7).

(…)

 

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